Ticino

Aperture negozi, ‘oltre 7mila no a una prevaricazione politica’

Consegnate dai referendisti le 7’618 firme contro l’estensione oraria dei commerci. I favorevoli alla modifica: ‘Non è obbligatoria e aiuta il Paese’

(Ti-Press)
22 dicembre 2022
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«Queste 7’618 firme dimostrano che i cittadini ticinesi hanno ben compreso la posta in gioco. Ovvero un nuovo attacco ai lavoratori del commercio al dettaglio che andrà a peggiorare ulteriormente le loro condizioni di impiego e di vita già ora compromesse da una grande precarietà e da salari molto bassi». È con queste dure parole che i rappresentanti dei sindacati Unia e Ocst hanno accompagnato la consegna in Cancelleria dello Stato delle oltre settemila sottoscrizioni raccolte negli scorsi due mesi e che attestano la riuscita del referendum lanciato col sostegno del Partito socialista contro l’entrata in vigore delle modifiche alla Legge sull’apertura dei negozi (Lan). Modifiche approvate in ottobre dalla maggioranza del Gran Consiglio (52 favorevoli e 31 contrari) per concedere "maggiori margini di manovra e più libertà d’iniziativa per quanto riguarda il commercio al dettaglio" come chiedeva l’iniziativa parlamentare ‘Lavorare significa poter lavorare’ presentata dal deputato e presidente del Plr Alessandro Speziali. Nel concreto si tratta di aumentare da tre a quattro le domeniche all’anno durante le quali i lavoratori possono essere occupati nei negozi senza richiedere alcuna autorizzazione, di concedere l’apertura delle attività fino alle 19 anche nelle feste infrasettimanali non parificate alla domenica (escluso il Primo maggio) e nelle domeniche che precedono il Natale, e di aumentare le superfici da 200 a 400 metri quadri per quanto riguarda i negozi che hanno diritto alle deroghe di legge previste per le località turistiche la domenica.

«Siamo soddisfatti dell’esito della raccolta firme perché abbiamo riscontrato grande sensibilità verso la tematica – afferma Chiara Landi, responsabile del settore terziario di Unia Ticino –. È vero che ci sono delle persone che in buona fede difendevano le argomentazioni avanzate dai promotori delle modifiche, rifacendosi a un mito del progresso e alla fantomatica creazione di nuovi posti di lavoro. Ma in diversi casi, spiegando quali siano realmente le condizioni e la situazione del settore vendite, c’è chi si è ricreduto».

Unia: una liberalizzazione indiscriminata

Che le cose siano diverse da quanto prospettato dal fronte borghese in parlamento per Landi lo prova il fatto che «già recentemente c’è stata un’estensione degli orari dei negozi senza un aumento della manodopera. Con questo nuovo cambiamento la mole oraria peserebbe ulteriormente sul personale che già ora è sotto pressione e precarizzato. Ci sarebbero ancora più contratti su chiamata senza ore garantite e la frammentazione della giornata lavorativa non farebbe altro che peggiorare». Tra le recriminazioni rivolte ai sindacati dai promotori della modifica legislativa ci sono quelle di mettere il bastone tra le ruote a commercio e turismo. «Non siamo contrari al commercio, ma a una liberalizzazione indiscriminata dell’apertura dei negozi che non serve nemmeno per le ragioni che i promotori indicano come fattori di sviluppo – ribatte Landi –. Lavorare di più non vuol dire incassare di più. Semplicemente si spalma su tutta la settimana un guadagno che adesso è concentrato in sei giorni. Inoltre queste estensioni avrebbero una ripercussione negativa sui piccoli negozi».

Ocst: non risolve i problemi del commercio

Ciò che non è piaciuto a Ocst, a Unia «e a oltre 7’000 cittadini di questo cantone è che la politica ha deciso di prevaricare ciò che era stato stabilito con una consultazione dei lavoratori – sostiene dal canto suo Benedetta Rigotti, responsabile comunicazione Ocst –. Invece per queste modifiche di legge non è stato in alcun modo consultato il personale di vendita e questo non è accettabile». A farle eco il segretario cantonale Ocst Renato Ricciardi: «Siamo di fronte a un’imposizione che modifica le regole del gioco con una interferenza della politica nelle trattative delle parti sociali, che tra l’altro il prossimo anno dovranno rinegoziare il Contratto collettivo di lavoro». Anche secondo Ricciardi mentre il personale chiede dei miglioramenti «quelli che sono spacciati per tali dalla maggioranza del Gran Consiglio sono falsi. I problemi dei piccoli e dei grandi commerci derivano semmai dai prezzi e dalla bassa disponibilità di reddito delle famiglie in questo momento di crisi. Non è estendendo gli orari di apertura e prevedendo domeniche in più che si potrà risolvere questa situazione». Quanto alle tempistiche, «il cancelliere dello Stato ci ha informati che la prima data disponibile per una votazione popolare è il 18 di giugno. Ci auguriamo che il governo la convochi per quel giorno».

Federcommercio: al passo con l’evoluzione

«Faccio veramente fatica a capire come i sindacati possano sostituirsi improvvisamente agli imprenditori – afferma, da noi interpellata, la presidente di Federcommercio Lorenza Sommaruga –. So che i nostri commercianti stanno facendo di tutto per tenere i prezzi a un livello ragionevole e per trattenere sul territorio la clientela ticinese con un servizio di qualità. E poi di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di una domenica di apertura in più, peraltro facoltativa, che permetterebbe non solo di adeguarci a ciò che già prevede la legge federale, ma anche di tener conto dell’evoluzione della situazione globale economica, un’evoluzione assai veloce che imprenditori e personale di vendita non possono non considerare se si vuole continuare a lavorare». E riguardo al personale, aggiunge Sommaruga, «ricordo che al dipendente che lavora la domenica viene riconosciuto in busta paga il cinquanta per cento in più. Una domenica, ricordo ancora, che il collaboratore o la collaboratrice ha diritto di recuperare con un giorno di riposo. E tutto questo in base alle vigenti normative che disciplinano il settore». La presidente di Federcommercio rilancia: «In questo momento abbiamo bisogno di un po’ più di libertà, affinché il commerciante abbia la possibilità di sfruttare una domenica in più, aprendo il negozio, se vede che quel giorno in zona c’è un certo movimento di persone», di turisti.

L’iniziativista: è un’iniezione di ossigeno

«A questo punto saranno i cittadini a decidere, ma sono fiducioso – dice a sua volta Alessandro Speziali –. Sono fiducioso perché la proposta del Plr che ha portato alla modifica di legge approvata in ottobre dal Gran Consiglio è ragionevole ed è coerente con la vocazione turistica del nostro cantone». Una proposta che «aiuta concretamente il commercio in Ticino, permettendo inoltre a un maggior numero di negozi di tenere aperto». E che «costituisce per il settore un’importante iniezione di ossigeno in un periodo di crisi cominciato con la pandemia, quando tutti, fra l’altro, ci dicevamo amici dei commercianti, e che sta continuando». La legge impugnata tramite referendum, sottolinea ancora il deputato e presidente del Plr, «non introduce alcun obbligo, ma estende il diritto di tenere aperto. E, puntualizzo, non colpisce assolutamente i piccoli commerci». Non solo: «Questa legge renderà le nostre città e i nostri piccoli comuni più dinamici, più vivi anche commercialmente, innescando un circolo virtuoso tra negozi, ristoranti e le varie attività che animano le vie. Mi auguro quindi che i ticinesi capiscano il senso delle nuove disposizioni legislative e le confermino al momento del voto, dicendo pertanto no al referendum. Anche perché all’orizzonte, contrariamente a quanto paventano i sindacati, non si profila nessuna liberalizzazione selvaggia o indiscriminata».

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