Ticino

In dubio pro reo: assolti dall’accusa di riciclaggio

Reato in parte prescritto per i tre imputati: la Corte d’appello del Tribunale penale federale smentisce la prima istanza. Dubbi sull’origine dei fondi

Assolti
(Ti-Press)
13 dicembre 2022
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La Corte d’appello del Tribunale penale federale assolve in seconda istanza, in base al principio in dubio pro reo, tutti e tre gli appellanti ritenuti colpevoli in prima istanza del reato di riciclaggio di denaro, asseritamente commesso in Svizzera tra il 2005 e il 2014, in relazione al traffico di stupefacenti della mafia colombiana. Da un lato, il reato a monte era già parzialmente prescritto all’epoca dei fatti. Dall’altro, vi sono dubbi sull’origine dei fondi introdotti nel sistema finanziario svizzero nell’ambito del presunto reato a monte. Il nesso causale tra il reato a monte (traffico di stupefacenti) e il reato principale (riciclaggio di denaro) non è quindi provato.

L’imputato principale ha invece accettato la condanna per falsità in documenti nell’ambito di un capo d’accusa secondario.

La sentenza riguarda gli Appelli dei tre imputati ritenuti colpevoli in prima istanza contro la sentenza della Corte penale nell’ottobre 2021. L’accusa contesta al principale imputato di aver riciclato in Svizzera, nel periodo tra dicembre 2005 e almeno fino a giugno 2014, circa 10 milioni di euro di proventi derivanti dal traffico di stupefacenti della mafia colombiana. I fondi sarebbero stati introdotti nel sistema finanziario svizzero attraverso banche, in parte attraverso varie società, tramite pagamenti in contanti, compensazioni e assegni, nonché attraverso diversi trasporti di contanti dalla Spagna alla Svizzera. È inoltre accusato di aver nascosto alle autorità 3,7 milioni di euro in contanti (quale parte della somma globale di cui sopra), rinvenuti nella sua villa a Madrid nell’ambito di una perquisizione da parte degli inquirenti spagnoli. L’imputato principale, uno svizzero di origine colombiana, era stato condannato per reati di riciclaggio di denaro legati al traffico di stupefacenti da un tribunale spagnolo nel maggio 2009. Dopo il suo arresto nel 2014, ha trascorso circa 4 mesi e mezzo in detenzione preventiva in Svizzera. I due coimputati lavorano in Svizzera per l’imputato principale come gestori patrimoniali e sono accusati di complicità nel senso di una violazione degli obblighi previsti dalla legislazione svizzera in materia di riciclaggio di denaro. In particolare, avrebbero dovuto sapere dell’origine criminale dei fondi versati o almeno avere dei sospetti a causa dell’importo e di altre circostanze.

La prima istanza ha ritenuto l’accusa in linea di principio fondata, a eccezione dell’abbandono del procedimento in relazione a tutti gli atti di riciclaggio commessi prima del 13 ottobre 2006 a causa della prescrizione e di alcune assoluzioni del secondo imputato. Ha condannato l’imputato principale per riciclaggio di denaro e falsità in documenti a una pena detentiva parzialmente sospesa di 32 mesi (di cui 18 sospesi) come pure a una pena pecuniaria (sospesa) di 150 aliquote giornaliere di 360 franchi ciascuna. I due coimputati sono stati condannati per riciclaggio di denaro a 24 mesi di detenzione sospesi nonché una pena pecuniaria (pure sospesa) di 100 aliquote giornaliere di 200 franchi ciascuna, rispettivamente a una pena detentiva sospesa di 18 mesi e a una pena pecuniaria sospesa di 100 aliquote giornaliere di 200 franchi ciascuna.

La Corte d’appello, oltre alla violazione del principio accusatorio (descrizione non sufficientemente chiara del reato a monte nell’atto d’accusa), ha ritenuto che vi sia un insufficiente nesso causale tra il reato a monte e il reato principale. Da un lato, il reato a monte descritto nell’atto d’accusa si è rivelato prescritto secondo il diritto spagnolo, a far tempo dall’8 maggio 2009, il che significa che i successivi presunti atti di riciclaggio mancano del corrispondente elemento costitutivo del reato. Sebbene l’imputato principale non abbia potuto provare in modo credibile l’origine lecita dei suoi beni, la Corte d’appello ha seri dubbi sul fatto che i medesimi siano proventi derivanti dal traffico di stupefacenti, ottenuti in Spagna dalla mafia colombiana tra il 1996 e il 1999. Questo perché fino all’introduzione dell’euro nel 2002, i mezzi di pagamento validi in Spagna erano le peseta, mentre tutto il contante portato in Svizzera e rinvenuto in Spagna era costituito da banconote in euro, la maggior parte delle quali da 50 euro. Il presunto cambio di denaro contante in peseta di piccolo taglio, tipico del traffico di droga, per un valore di 10 milioni di euro, in banconote di piccolo taglio di euro non è stato chiarito né reso plausibile dall’accusa, né risulta comprensibile in base all’insieme delle circostanze.

La Corte d’appello ritiene invece più probabile che le somme di denaro contante in euro portate in Svizzera dall’imputato principale e rinvenute in Spagna, la cui origine lecita non è stata provata, siano state realizzate dall’imputato principale solo dopo il 2002. Pertanto, essa nutre seri dubbi sul fatto che l’imputato principale abbia commesso i presunti reati prima del 2002 e quindi tra il 1996 e il 1999. Un presunto traffico di stupefacenti dopo il 1999 o il 2002, tuttavia non emerge dalla sentenza spagnola, né risulta contemplato dall’accusa. Di conseguenza, viene a mancare il necessario nesso causale tra il reato a monte e quello principale. In base al principio in dubio pro reo, i tre imputati sono quindi assolti da tutte le accuse di riciclaggio di denaro. L’imputato principale aveva invece già accettato la condanna per il reato di falsità in documenti. A questo proposito viene inflitta una pena pecuniaria sospesa.

La sentenza della Corte d’appello non ancora cresciuta in giudicato può essere impugnata dalle parti mediante ricorso in materia penale al Tribunale federale dopo la notificazione del testo integrale della decisione. Per gli imputati resta valida la presunzione d’innocenza.

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