Ticino

Il 30% degli anziani ticinesi fa fatica ad arrivare a fine mese

È quanto emerge da uno studio di Pro Senectute, che riconosce quello a Sud delle Alpi come il dato più alto in Svizzera. E scatta subito l’interpellanza

2 ottobre 2022
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In Ticino la percentuale di anziani a beneficio dell’Avs che vivono in condizione di precarietà economica sfiora il 30%, un dato decisamente più alto rispetto al resto della Svizzera. È quanto emerge da un recente studio realizzato a livello nazionale da Pro Senectute. E nella politica cantonale ticinese c’è chi si è subito attivato per avere delle spiegazioni. "Il Consiglio di Stato intende aiutare gli anziani in difficoltà economica, ad esempio erogando aiuti straordinari come era stato fatto per le rendite ponte Covid?". A chiederlo per mezzo di un’interpellanza è il deputato socialista Ivo Durisch, che cita l’indagine pubblicata oggi. "In Ticino il 29,5% degli anziani a beneficio dell’Avs vive nella precarietà. Lo stesso dato di Basilea Città si ferma al 6%". E la situazione nel corso del prossimo anno, scrive Durisch, non può che peggiorare "visti gli aumenti dei premi di cassa malati e l’inflazione sui beni quotidiani".

Un anziano su sette vive sotto la soglia di povertà

Secondo lo studio sono 46mila gli anziani in Svizzera che si trovano in situazione di povertà estrema perché guadagnano meno di 2’279 franchi al mese. "Pro Senectute ha esaminato per la prima volta la situazione finanziaria degli anziani. Il risultato: 295mila persone in età pensionabile sono a rischio povertà e devono accontentarsi di una rendita di circa 2’500 franchi" si legge nell’interpellanza. "Una persona su sette di età superiore ai 65 anni scende al di sotto del limite di 2’279 franchi al mese. Questo importo è considerato la soglia di povertà nel nostro Paese" afferma Durisch. "Si tratta di cifre allarmanti che parlano da sole e non hanno bisogno di alcuno commento", scrive il deputato socialista che chiede anche al governo se fosse cosciente di questa situazione.

Ticino il più colpito con quasi il 30% di pensionati coinvolti

Pro Senectute nella sua indagine evidenzia notevoli differenze regionali: gli anziani sono più colpiti in Ticino, dove quasi il 30% dei pensionati vive in condizioni precarie, mentre Basilea registra il tasso di povertà più basso, ‘solo’ il 6%. Tra le possibili spiegazioni l’associazione suggerisce le situazioni economiche diverse e gli aiuti che vengono dati in ogni cantone, ma anche la tendenza delle zone rurali a cercare meno sostegno. Per Durisch i motivi sono però anche altri: "Sicuramente l’estrema disparità salariale, anche tra uomini e donne, gli stipendi più bassi di tutta la Svizzera e un mercato del lavoro che precarizza sono all’origine di questo ulteriore primato negativo del nostro cantone". La richiesta del deputato è di "promuovere una campagna di sensibilizzazione sulle prestazioni complementari". Questo perché "uno dei motivi di questa situazione potrebbe essere il non ricorso alle prestazioni complementari. Se così fosse allora un rimedio ci sarebbe: combattere il non ricorso alle prestazioni".

Pro Senectute: ‘In caso di razionamento bisogna dare garanzie’

A dirsi pronta a fare la sua parte per migliorare la situazione è anche Pro Senectute: "Se constatiamo che persone anziane particolarmente vulnerabili subiscono gravi limitazioni nella loro vita quotidiana, interverremo", sottolinea Alain Huber, direttore di Pro Senectute Svizzera, citato nel comunicato inviato ai media insieme allo studio. "Anche in caso di razionamento, occorrerebbe garantire che i bisogni di base delle persone a mobilità ridotta possano essere soddisfatti, aggiunge". L’associazione si è detta anche preoccupata per il futuro: "Ci aspettiamo un aumento della povertà nella vecchiaia. Viviamo più a lungo, il lavoro part-time è in voga e ora aumentano anche i prezzi".

Attraverso l’interpellanza Durisch interroga anche il Consiglio di Stato su quando arriverà la risposta alla mozione – presentata a ottobre dello scorso anno insieme al collega Danilo Forini – chiamata "Le prestazioni sociali sono un diritto e non un delitto". In quell’occasione si chiedeva al governo di elaborare una strategia di lotta al non ricorso alle prestazioni sociali. I firmatari proponevano, tra le altre cose, "d’introdurre un monitoraggio periodico qualitativo e quantitativo che verifichi l’entità del non ricorso alle prestazioni sociali".

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