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‘Calo demografico, il governo non neghi il problema e lo affronti’

Il Consiglio di Stato risponde in maniera 'insufficiente' a un atto e Dadò (Ppd) sbotta: 'Ci prendono per ignoranti'. Aldi (Lega): 'Servono meno parole e più fatti'

Ti-Press
3 luglio 2021
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«Questo atteggiamento del Consiglio di Stato non va bene. La mia amara considerazione è che l’autorità politica debba far fronte ai problemi, soprattutto quando c’è ancora tempo per affrontarli, invece che negarli. Constatiamo che quello del calo demografico per il governo non sembra essere un problema». Sale sulle barricate il presidente del Ppd Fiorenzo Dadò quando, interpellato dalla ‘Regione’, commenta la risposta che il governo ha appena dato a un’interrogazione interpartitica di cui lui è tra i firmatari riguardo a quella che rischia di essere una delle più grandi emergenze per il futuro del Ticino: il calo demografico, appunto.

‘L’allarme lo ha lanciato l’Ufficio federale di statistica...’

Una risposta, quella del Consiglio di Stato, che nella premessa rileva come “la diminuzione riscontrata a partire dal 2016, quando si è raggiunto un picco di 354’375 abitanti, non è legata a una ‘fuga’ di cittadini verso lidi più attrattivi, ma alla diminuzione di nuove entrate accompagnata da un calo della natalità”. Detto ciò, detto tutto. Perché le risposte dell’esecutivo all’interrogazione sono tutte un ricordare quanto presente nel Programma di legislatura 2019/2023, i monitoraggi effettuati dall’Ustat con tanto di rimandi al sito internet e indicazioni su come e dove cliccare, quanto fatto negli ambiti della politica territoriale, la formazione e la politica economica. «Visto che ci fanno passare come degli ignoranti che non leggono gli studi, viene da chiedersi come mai abbiano impiegato la bellezza di 10 ore pagate dal contribuente a risponderci», sbotta Dadò. Che aggiunge come «noi abbiamo posto delle domande dopo che l’allarme è stato lanciato dall’Ufficio federale di statistica, e dopo aver constatato che un Cantone con caratteristiche non uguali ma simili al nostro come Neuchâtel ha reagito mettendo immediatamente in piedi un progetto per invertire il pericoloso trend. Cioè qualcosa che in Ticino non risulta esserci». E invece per il Ppd, come anche rimarcato con forza dal capogruppo in Gran Consiglio Maurizio Agustoni durante l’ultimo comitato cantonale popolare democratico, il problema c’è, eccome se c’è. Per questo, data anche la risposta del governo, «non escludiamo di lanciare un’iniziativa popolare» chiosa Dadò.

Aldi: ‘Servono più asili nido e più conciliabilità lavoro famiglia’

C’è amarezza anche nella reazione della prima firmataria dell’interrogazione, la vicecapogruppo leghista Sabrina Aldi. «Bene ma non benissimo, per usare un eufemismo» ci risponde. «Sono contenta che almeno il problema è stato sollevato, perché ci toccherà da vicino nei prossimi anni. Chiaramente non sono soddisfatta delle risposte perché non ho visto misure puntuali – spiega Aldi –. Dicono che hanno monitorato, che seguono la questione, propongono le statistiche ma tutto ciò se è fine a se stesso non è sufficiente e non serve a niente. Una volta preso atto del problema bisogna proporre delle misure concrete. E non ci sono». Per quello che riguarda queste misure concrete «e puntuali» Aldi ha le idee in chiaro: «Serve fare enormi passi avanti per quello che riguarda gli incentivi alle nascite e alla conciliabilità lavoro famiglia, lo vedo per esperienza diretta: se una donna rimane incinta deve cominciare a pensare all’asilo nido già in gravidanza, e si va comunque in lista d’attesa con prezzi proibitivi. Si arriva piano piano al concetto, allucinante, di chiedersi se uno può permettersi di fare un figlio o no. Bisogna assolutamente invertire la rotta». Per la deputata leghista «bisognerebbe essere meno teorici nel fare grandi discorsi su studi e statistiche. Andrebbero invece messi giù dieci punti concreti con i quali il Consiglio di Stato spiega come affrontare questo problema e portare a un aumento delle nascite: incentivando asili a prezzi ragionevoli, aumentando le strutture e rendendole magari più flessibili in base ai bisogni delle famiglie, favorendo la conciliabilità. Insomma, meno parole e più fatti».

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