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Popolazione ticinese in calo: parla Christian Vitta

Per il direttore del Dfe è ancora presto per parlare di declino: molto dipenderà dalla situazione economica oltre confine, ma anche dalla libera circolazione

31 agosto 2020
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Per il terzo anno consecutivo, la popolazione diminuisce: secondo i dati dell’Ufficio di statistica (Ustat) alla fine del 2019 c’erano 351.491 persone in Ticino, 1.852 in meno dell’anno scorso. Due i fattori in gioco: nascono meno persone di quante ne muoiano (l’ormai noto ‘saldo naturale’ d’una popolazione sempre più vecchia), e più persone lasciano il Ticino di quante non vi si trasferiscano (il ‘saldo migratorio’ perde 733 individui). Due fenomeni che hanno più o meno lo stesso peso sul calo complessivo. Per capire se e quanto dobbiamo preoccuparci, ne parliamo col Direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia Christian Vitta.

Nel 2019 sono arrivate in Ticino 7'452 persone contro le 10'179 del 2010 (-26%). Nello stesso periodo le partenze annue sono passate da 5.756 a 8.185 (+42%). Nel 2019 si contavano quasi 97mila residenti stranieri, 1.369 in meno rispetto al 2018. Come se lo spiega?

È difficile al momento fornire letture consolidate, anche perché si tratta di un’inversione relativamente recente: sul decennio la popolazione è invece aumentata di oltre 15mila abitanti. Senza pretesa di fornire letture ‘scientifiche’, direi di guardare anzitutto ad alcuni fattori. Il primo è l’andamento economico della Lombardia, una macroregione importante per l’afflusso di residenti: la sua ripresa negli ultimi anni può avere indotto personale qualificato a rimanervi invece di venire in Ticino, a differenza di quanto avvenuto dopo la crisi finanziaria del 2008. Poi non escluderei che iniziative come quella dell’Udc del 2014 (cosiddetta ‘Contro l’immigrazione di massa’, ndr) possano avere creato una percezione di ostilità all’estero.

Qualcuno potrebbe ribattere che non necessariamente il calo è un male, anche se è sempre difficile capire quale sia l’‘optimum demografico’.

Se il calo però si combina con l’invecchiamento della popolazione, a parità di altre condizioni si assisterà alla contrazione del prodotto interno lordo, dell’occupazione e degli introiti fiscali, non necessariamente accompagnata da una riduzione della spesa pubblica.

La crisi dovuta al coronavirus potrebbe cambiare la tendenza?

Occorrerà verificare l’impatto sulle regioni di confine: nel caso in cui la Lombardia dovesse risultare più in difficoltà del Ticino, allora è ragionevole ipotizzare che più persone si sposteranno qui in cerca di opportunità lavorative. Inoltre, la resilienza dimostrata dalla Svizzera durante la crisi legata alla diffusione del coronavirus potrebbe aggiungere ulteriore attrattiva verso chi si sposta in cerca di sicurezza, tendenzialmente persone più facoltose, ma anche meno giovani.

Il Ticino però stenta a trattenere gli stessi ‘ticinesi’: l’anno scorso se ne sono andati 2’800 residenti, contro i 2'000 arrivati da oltre Gottardo. A partire o restare altrove – stando a un altro studio Ustat del 2018 – sono soprattutto giovani che hanno completato una formazione universitaria. Un terzo studio mostra che a un anno dal titolo il 20% dei laureati Usi risiede altrove, dove resta il 60% dei ticinesi che studiano in altre università.

Questo non è un fenomeno nuovo, quindi non può costituire la principale spiegazione del calo demografico. Lo affrontiamo da anni, proprio attraverso la creazione di nuove opportunità di formazione universitaria e lavorative. È ovvio che un cantone più piccolo e periferico stenti più di altre realtà a trattenere i suoi laureati, nonostante l’elevato livello d’innovazione e diversificazione del tessuto produttivo.

Per attrarre o trattenere lavoratori occorre però offrire condizioni competitive. Il calo del salario mediano – del 3,4% nel 2018, in netta controtendenza rispetto al resto della Svizzera – rischia di indurre nuove partenze e meno arrivi e ritorni?

La diminuzione del salario mediano tra il 2016 e il 2018 va considerata con attenzione, ma anche contestualizzata: fotografa un lasso limitato di tempo, e manca ancora una spiegazione scientifica delle sue cause. A mio giudizio – ma si tratta solo di un’ipotesi di lavoro – potrebbe essere dovuto alla perdita di posti di lavoro ben remunerati, come ad esempio nel settore bancario. Occorrerà però verificare da vicino la tendenza nei prossimi anni prima di trarre conclusioni affrettate. In effetti, se allarghiamo lo sguardo agli ultimi dieci anni rileviamo in Ticino un aumento del livello salariale.

Gli stranieri sono gli unici che contano più nuovi nati che morti, mentre gli ultrasessantacinquenni in Ticino sono 175 ogni 100 under 15, dato in costante peggioramento. Il futuro è pieno di rughe. Cosa dobbiamo aspettarci?

Come conseguenza crescerà la pressione sulle assicurazioni sociali e la previdenza. Anche il lavoro cambierà: non solo perché si nota già un aumento dei pensionati rispetto alle persone attive, ma anche perché l’invecchiamento della popolazione modifica la domanda di servizi: diventeranno sempre più importanti le professioni sanitarie e di accudimento.

Se cala la popolazione, si svuotano le case. Eppure i tassi d’interesse bassi fanno sì che in Ticino si continui a costruire: scoppierà una bolla immobiliare?

È ancora difficile dirlo. In ogni caso è probabile che cambi il tipo d'immobili richiesto. L’invecchiamento della popolazione vede già l’affermarsi delle residenze assistite. A questo si aggiunge il fattore coronavirus: se dovessero consolidarsi il telelavoro e l’e-commerce, è possibile che si debbano riconvertire gli spazi commerciali e che diminuisca la domanda di uffici.

La politica locale può fare qualcosa per contrastare il calo demografico?

Non possiamo illuderci di contrastare da soli certe tendenze. Di certo però dobbiamo saper accompagnare il cambiamento. Ad esempio, dato che il futuro annuncia una crescente domanda di prestazioni mediche e di cura, si tratterà d'incoraggiare la formazione e agevolare lo sviluppo di questi ambiti professionali. Si può anche pensare a incentivi tali da spingere il mercato del lavoro ad attrarre più giovani, questo richiede investimenti nell’innovazione e nei settori promettenti per il futuro.

Un’eventuale abolizione della libera circolazione peggiorerebbe la situazione?

Nel caso in cui generasse ulteriore incertezza negli operatori economici e limitasse la loro capacità d’assunzione, finirebbe per accelerare la crisi in atto. Questo avrebbe un impatto sui posti di lavoro e quindi anche sul saldo migratorio del cantone, con una contrazione dell’economia che colpirebbe soprattutto le piccole e medie imprese, meno attrezzate per adeguarsi al cambiamento di scenario che comporterà anche più burocrazia e lavoro amministrativo.

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