Ticino

Laureati ticinesi, tasso d'impiego in linea con la Svizzera

Ma torna dopo la laurea solo il 40% di chi ha studiato oltre Gottardo, chi studia in Ticino non esce e i salari restano diversi

(dati Ustat)
8 giugno 2020
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“Ma servirà poi davvero, studiare così tanto”? Se lo saranno chiesti in molti, chini sui libri oppure vedendo i loro pargoli assorti in analoga, leopardiana postura. L’ultima analisi pubblicata dall’Ufficio di statistica ticinese (Ustat) dice che sì, serve eccome. A un anno dal completamento degli studi ha un lavoro il 96% dei laureati ‘ticinesi’ attivi (per laureato ticinese intenderemo d’ora in poi, per comodità, chiunque risiedesse nel cantone al momento dell’immatricolazione in una qualsiasi università, scuola universitaria professionale o alta scuola pedagogica, qui o altrove). Il reddito mediano è poco sotto ai 75mila franchi per chi lavora a tempo pieno, anche se non si calcolano gli stagisti – uno su cinque dopo l'uni – e il lavoro a tempo pieno non supera il 70% dei casi di chi ha un impiego. Ad ogni modo, 4 volte su 5 l’impiego è giudicato adeguato al proprio profilo. Dopo 5 anni, il tasso d’occupazione è al 98%. Però ci sono delle differenze importanti, anche a prescindere dalla facoltà scelta. I numeri dicono che chi resta a studiare in Ticino tenderà a non uscirne neanche dopo la laurea, in un mondo professionale che a lungo andare premia sempre di più le esperienze in diverse nazioni e aree linguistiche. Al contrario, 6 ticinesi su 10 non rientrano subito dopo il titolo oltre Gottardo, una tendenza che d’altronde è rimasta più o meno costante negli ultimi vent’anni. Le differenze di reddito tra chi lavora in Ticino e chi altrove rimangono “sostanziali”.

Secondo Danilo Bruno, uno dei ricercatori Ustat che hanno curato l’analisi insieme ai colleghi di Usi e Supsi, è rassicurante anzitutto notare che i tassi d’occupazione a 1 e 5 anni dalla laurea «risultano simili a quelli del resto della Svizzera». Non si direbbe quindi che il luogo dove si studia e dove poi si cerca lavoro abbia un’influenza decisiva sulla probabilità di trovarlo.

Chi resta in Ticino per studiare, ci resta anche dopo

Certo è però che i ticinesi che restano qui a studiare poi vi si fermano anche a lavorare. E questo nonostante la metà degli altri studenti dell’Usi – provenienti per due terzi da oltre 100 Paesi – parta poi verso destinazioni internazionali. Probabilmente fanno quindi la differenza fattori sociali e legami personali, tali che 8 ticinesi su 10 laureati all’Usi restano in Ticino, mentre dopo un anno vi rientra solo il 40% di chi era andato a studiare fuori. Un dato che però, secondo Bruno, «non è sufficiente per parlare di fuga di cervelli, dato che occorrerebbe considerare scadenze più lunghe e valutare i flussi in direzione inversa».

Quanto alla Supsi, i dati confermano il suo radicamento diretto nel territorio: «Il 92% dei nostri studenti residenti in Ticino al momento dell’immatricolazione trova un lavoro in Ticino», conferma Andrea Plata, che ha collaborato allo studio a nome dell’università professionale ticinese; «è interessante d’altronde notare che il loro tasso d’occupazione è in linea con quello delle altre università professionali e alte scuole pedagogiche svizzere; inoltre, anche chi arriva in Supsi da altri cantoni e segue una formazione con sede in Ticino poi tende a rimanere qui nell’85% dei casi».

Quanto ai redditi...

Un discorso diverso riguarda i redditi: a un anno dalla laurea, uno studente universitario ticinese percepisce un salario mediano di 75mila franchi, 73mila per chi ha fatto una Sup. Tenendo conto del fatto che il dato svizzero si aggira attorno agli 80mila franchi e circa un terzo dei ticinesi rimane a 'guadagnare' oltre Gottardo, si nota una certa pressione al ribasso dovuta alle retribuzioni di chi rimane o torna in Ticino. «È chiaro che la differenza sui redditi si nota di più di quella sui tassi d’occupazione», nota Bruno. Trascorsi 5 anni aumenta la differenza tra i laureati all’università (salario mediano 86mila franchi) e Sup/Asp (78mila). Diminuisce nel frattempo per entrambe le categorie la precarietà, con la quota di contratti a tempo determinato che passa dal 55 al 27% per chi ha fatto l’università e dal 31 al 13% per chi viene dalle Sup/Asp.

A fare la differenza per i circa mille laureati ‘ticinesi’ all’anno – equamente distribuiti tra accademia e università professionali – è naturalmente anche il percorso scelto. Dopo un anno, «per le università vediamo salari particolarmente alti per coloro che dopo la laurea in diritto non fanno un percorso di stage propedeutico alla carriera legale», così Bruno; «altrettanto netto è il vantaggio di chi ha un titolo in medicina e farmacia». Alle Sup/Asp invece «risulta inizialmente più favorevole l’inserimento in quelle professioni che prevedono un numero chiuso, come l’insegnamento o le professioni legate al lavoro sociale», spiega Plata. Impossibile, invece, dedurre dall’analisi se nel corso della carriera il settore privato si ‘riallinea’ al pubblico in termini di salari e opportunità professionali. Il quadro della situazione, insomma, è troppo variegato per prestarsi a semplificazioni sensazionalistiche. Tranne una: alla lunga – e non solo alla lunga – studiare paga.

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