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'Commerci e affitti, questione di sopravvivenza'

Il coronavirus e le pigioni, Sommaruga (Federcommercio): 'Riapertura con tante incognite'. Suter (GastroTicino): 'Finora un silenzio assordante del Cantone'

«Lunedì prossimo molti negozi riapriranno, ma abbiamo ancora tante incognite: in che modalità riaprire, quanto personale richiamare, quale sarà la reazione della clientela. Domande a cui è difficile dare una risposta. Siamo in una situazione di sospensione veramente difficile e straniante su cui l’aspetto finanziario del costo dell’affitto pesa in modo preponderante». Lorenza Sommaruga, presidente della Federcommercio Ticino, organizzazione dei piccoli commercianti, non nasconde la propria preoccupazione. «Non sono una persona abituata a chiedere aiuto all’ente pubblico, che in questa fase ha fatto molto (indennità per lavoro ridotto e crediti agevolati, ndr), ma la pigione è una voce di spesa importante che in assenza di fatturato diventa una questione vitale per molte piccole aziende. C’è un futuro da costruire e senza basi solide, molti commerci saranno costretti a chiudere», sottolinea.

La questione delle pigioni commerciali emersa dalla crisi del Covid-19 è lungi dall’essere risolta. Il Consiglio federale da tempo invita a trovare soluzioni bilaterali, fra i singoli proprietari e i locatari, in modo che gli effetti negativi del lockdown – che si spera durino il meno possibile – siano ripartiti tra le due parti contrattuali. In Ticino alcuni proprietari e alcuni Municipi hanno accettato di sospendere o dilazionare la riscossione degli affitti. «Non è chiaro però se in futuro questi importi dovranno essere rimborsati», riprende Sommaruga che come anche l’Associazione inquilini della Svizzera italiana, la Catef (i proprietari) e la Svit Ticino, auspica una soluzione sul modello ginevrino (cfr. infografica in pagina) dove il Cantone potrebbe farsi carico di una parte della pigione e per un periodo di tempo limitato, se anche il proprietario accetta una perdita. Due settimane fa (cfr. laRegione del 20.4.2020) una richiesta al Consiglio di Stato in tal senso era stata resa nota dalle tre parti in causa. «Auspichiamo che trovino un accordo consensuale ad esempio sul ‘modello vodese’ (un terzo a carico degli inquilini, un terzo dei proprietari e un terzo allo Stato, ndr) – rileva il direttore della Camera di commercio Luca Albertoni –. Un intervento cantonale sarebbe a questo punto opportuno». Anche perché ai modelli ginevrino, vodese e basilese non si è a tutt’oggi affiancato un ‘modello ticinese’. «Non abbiamo ancora ricevuto nessuna risposta da parte del Consiglio di Stato, né ufficiale né ufficiosa», fa notare Adriano Venuti, presidente dell’Associazione degli inquilini per la Svizzera italiana promotrice a Sud delle Alpi del modello ginevrino. «Sì, è vero, non c’è stato ancora un incontro con il Consiglio di Stato sul tema degli affitti», conferma Alberto Montorfani, presidente della Svit Ticino (associazione dei professionisti immobiliare) che confida che una soluzione sarà trovata.

GastroTicino: ‘Ancora nulla all’orizzonte’

«Quello degli affitti commerciali è un grosso problema che gli imprenditori stanno avendo in questo periodo di chiusura forzata, che va ad aggiungersi alle difficoltà nel versamento dei salari per i dipendenti dell’esercizio», evidenzia dal settore della ristorazione il presidente di GastroTicino Massimo Suter. Un problema «che resterà tale, se non si troverà un rimedio, anche quando potremo riaprire, perché si lavorerà a ritmo ridotto a causa delle necessarie misure d’ordine sanitario imposte dalle autorità. Ora, non mi sembra giusto che si paghi l’affitto di un locale per cento posti, quando il gerente può utilizzarne la metà e ciò indipendentemente dalla sua volontà. Nei cantoni Vaud e Ginevra hanno trovato delle soluzioni per venire incontro agli inquilini commerciali ma anche ai proprietari di immobili, pure loro confrontati con oneri importanti. In Ticino invece regna il silenzio: c’è un silenzio assordante da parte del Cantone. Non bastano più promesse o dichiarazioni autoreferenziali. Urge invece una soluzione concreta e praticabile. Ho preso contatto con la Camera di commercio – continua il presidente di GastroTicino – per andare, con un paio di altre associazioni di categoria, a bussare alla porta del direttore del Dipartimento finanze ed economia. Perché, ripeto, serve al più presto una soluzione pragmatica, di compromesso. È in ballo la sopravvivenza di diversi piccoli e medi commerci, non solo della ristorazione».

Afferma a sua volta l’avvocato Renata Galfetti, segretaria della Camera ticinese dell’economia fondiaria (Catef): «Un mese fa siamo stati contattati dall’Associazione inquilini per sapere se eravamo disponibili a discutere per individuare una soluzione e in particolare se fossimo d’accordo con il modello ginevrino, indirizzato a piccoli commerci come botteghe e negozi, locati ad al massimo 3’500 franchi mensili e rimasti chiusi a seguito delle risoluzioni governative. Dopo aver fatto le nostre riflessioni, abbiamo risposto affermativamente. E di questo abbiamo informato anche il Consiglio di Stato. Numerosi locatori sono disposti ad aiutare i piccoli commercianti, loro inquilini, e questa soluzione potrebbe alleggerire la loro situazione e portare in tempi brevi un po’ di serenità e un po’ di chiarezza in un momento difficile per tutti, tant’è che vengo costantemente interpellata da diversi nostri associati che chiedono cosa fare con gli affitti commerciali. Faccio presente che l’adesione a un accordo come quello di Ginevra non è obbligatoria: le associazioni si impegnerebbero a promuoverne tra i propri affiliati l’accettazione, ma non esiste un obbligo giuridico di adesione da parte loro. Anche noi come Catef siamo in attesa di conoscere la posizione del governo cantonale». La ‘Regione’ ha quindi interpellato il Dipartimento finanze ed economia. E dal Dfe ricordano che “sul tema degli affitti il consigliere federale Guy Parmelin ha istituito una task force dedicata, guidata dal direttore dell’Ufficio federale delle abitazioni. Questa task force – che riunisce rappresentanti dell’Amministrazione, delle organizzazioni degli inquilini e dei locatori, del settore immobiliare nonché di città e Cantoni – sta valutando ulteriori provvedimenti oltre a quanto già deciso (proroga termini di pagamento degli affitti). I lavori sono quindi ancora in corso e, di conseguenza, una presa di posizione da parte del Dipartimento delle finanze e dell’economia è prematura”.

Chiesa: Bellinzona sinora alla finestra

Il consigliere agli Stati democentrista Marco Chiesa presiede la sezione ticinese dell’Associazione proprietari fondiari (Apf-Hev): «Condivido il parere del Consiglio federale: le proposte formulate dalle Commissioni dell’economia e dei tributi del Nazionale e degli Stati, che prevedono manu militari decurtazioni generalizzate ed esoneri a geometria variabile del pagamento delle pigioni, sono una grave ingerenza nei rapporti tra privati e un attacco frontale alla proprietà privata garantita dalla Costituzione svizzera. Sostengo, al contrario, la via della concertazione tra i differenti attori e si tratta di una strada percorribile come hanno dimostrato Ginevra, Vaud e Friborgo, ad esempio. In questi cantoni la spinosa questione degli affitti commerciali è già stata regolata da tempo e con soddisfazione delle parti. Locatore e locatario fanno parte della stessa catena, entrambi hanno l’interesse a trovare una soluzione consensuale. In questo senso – aggiunge Chiesa riferendosi al Ticino – credo che l’intervento del Cantone, che finora è stato alla finestra, sia più che benvenuto per non dire necessario. Non tutto deve essere imposto da Berna, si può anche pensare a ragionevoli e pragmatiche soluzioni cantonali».

La lettera: ‘La task force federale è fallita’

Ieri, intanto, sette associazioni di categoria hanno sottoscritto un appello nazionale per trovare una soluzione a questo problema che rischia di ipotecare pesantemente il futuro di molte attività commerciali piccole e grandi. La lettera è stata consegnata a tutti i parlamentari a Berna ieri mattina prima dell’inizio della sessione. “Una soluzione nazionale è urgente e necessaria, poiché gli inquilini dei commerci colpiti direttamente o indirettamente dalle misure Covid-19 del Consiglio federale sono toccati in modo massiccio dal punto di vista economico”, si legge in una nota stampa firmata da sette organizzazioni (GastroSuisse, CoiffureSuisse, Associazione svizzera inquilini, Associazione dei locatari commerciali, Associazione svizzera delle catene di negozi, Federazione dei centri fitness e Federcommercio Ticino). La task force istituita dalla Confederazione “è fallita miseramente”. Per questa ragione, si annuncia, “le organizzazioni coinvolte hanno abbandonato il gruppo di lavoro”. “Al contrario della Germania e dell’Austria, il Consiglio federale si è rifiutato, senza alcun motivo comprensibile, di regolamentare la questione attraverso il diritto d’urgenza, anche se i rappresentanti degli inquilini avevano proposto approcci di soluzione costruttivi”, scrivono le associazioni. E le conseguenze economiche – nonostante siamo alla vigilia della graduale riapertura – si aggravano sempre di più e all’orizzonte “incombono fallimenti e un’ondata di procedure giudiziarie”.

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