Ticino

Soffiava la rivolta...

Un periodo, il Sessantotto, tanto affascinante quanto confuso. La riflessione di Franco Zambelloni, filosofo e uomo di scuola

12 maggio 2018
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«Guardi, ho un ricordo particolare perché ero laureando a Pavia e avrei dovuto finire in giugno. La laurea era già stata approvata. Solo che... l’ateneo venne occupato e così mi toccò rinviare tutto a ottobre. Pochi mesi, ma persi i concorsi che mi avrebbero aperto la strada dell’insegnamento». Franco Zambelloni, professore di filosofia oggi in pensione, ha memoria nitida di quel maggio 1968. «Per quanto, devo aggiungere, partecipai anch’io a qualche serata dell’occupazione e fu divertente. Si beveva un po’ di vino e le ragazze proprio in quei giorni iniziarono a volere la libertà sessuale... Non era mica noiosa la cosa». Ricordi personali, cinquant’anni dopo, che non cambiano il giudizio del professore sui presunti anni rivoluzionari. «Si voleva cambiare tutto, ma in realtà non si sapeva bene cosa e come».

Cosa volevate, cosa volevano i giovani di quel periodo, a suo giudizio? E perché proprio quell’anno? Fu un caso o vi furono circostanze particolari?

Cosa volevano? Non lo sapevano neanche loro. All’inizio era una protesta, almeno in Italia ma anche in Francia, iniziata a Pisa e poi a Trento, contro l’insegnamento scadente all’università. All’epoca c’erano professori che facevano quello che volevano [li chiamavano i “baroni”, ndr]; spesso non tenevano lezione, facevano altre cose. All’inizio era dunque partita come una protesta che potremmo definire corporativa. Poi, a poco a poco, sono arrivate soprattutto dalla Francia idee forti che prospettavano una nuova era. Nessuno sapeva esattamente come farla, ma a quell’età...

Ogni nuova generazione vuole autoaffermarsi prendendo le distanze dalla vecchia. Non sempre però questo processo si trasforma in fenomeno sociale. In quel periodo lo diventò. Come mai?

Mah... Vent’anni fa scrissi un articolo sul Sessantotto parlando dei testi sui quali si erano ispirati, vale a dire Marcuse, Mao e Marx. Però, come le dicevo, era una gran confusione perché si sognava un mondo nuovo, ma nessuno sapeva esattamente come avrebbe dovuto essere.

Poi magari è subentrata la delusione. Cosa è rimasto?

Guardi, vedo che i contestatori di allora hanno poi fatto carriera in politica, magari nelle aree conservatrici e altri in quelle cosiddette rivoluzionarie.

Come dire che sono “rientrati” nel sistema con tanto di regole e paletti, mentre allora si rivendicava la libertà dall’autoritarismo o dalla stessa autorità.

Certo, allora si sosteneva che l’autorità andava abolita e da questo punto di vista il Sessantotto ha lasciato il segno. Non mi pare vi sia più nessun culto dell’autorità. Poi fu forte la battaglia per la liberalizzazione sessuale, e anche in questo caso direi che il successo non è mancato.

Si chiedeva più libertà, ma da cosa?

A me pare che fosse una libertà indifferenziata. Un’aspirazione universale senza peraltro sapere bene come strutturare un mondo privo di regole.

C’è chi sostiene che in verità i veri protagonisti di quel tempo furono gli adulti che seppero reggere e dunque permettere la contestazione. Del resto si contesta chi appare o è forte...

C’è un fondo di verità. Oggi i giovani non contestano più nessuno soprattutto perché non ne hanno motivo, direi. C’è un’accondiscendenza così grande nei confronti dei giovani che non vedo bene cosa dovrebbero contestare o protestare. Poi, come in tutti i momenti storici o sociali, c’è qualcosa che si guadagna e qualcosa che si perde. Oggi credo che sia in crisi l’educazione giovanile. Tutti sono pronti a rivendicare i propri diritti, meno a considerare anche i propri doveri.

Dopo il Sessantotto si è un po’ smarrito il confronto con le regole, con il limite. Si è perso l’equilibrio magari prima un tantino rigido.

Negli anni immediatamente successivi, secondo me, c’è stato lo sbandamento più grave in fatto di regole. E poi ricordo di aver sentito Mario Capanna [leader storico e indiscusso dell’allora Movimento Studentesco milanese, ndr] che era venuto a parlare a Pavia, ad arringare la folla, e devo dire che mi ricordava nello stile un po’ Mussolini...

Come dire che i leader, alla fine, assumono tutti le stesse pose?

Ma, guardi, alla fine ogni movimento, magari mosso da nobili intenti, viene utilizzato da qualcuno che vuole emergere e fare il capo. E poi c’è la massa che segue.

Magari poi restano alcuni valori...

In verità oggi l’autorità è cambiata, come è cambiata l’economia e quindi il Sessantotto è stato un elemento tra gli altri che hanno determinato grandi mutamenti. Non è stato il solo. Per contro l’abbattimento delle regole, questo sì grazie a quella rivolta, favorì ed esaltò l’individualismo che mirava all’affermazione di sé e dei propri desideri. Una tendenza che si è poi dilatata negli anni sino a raggiungere l’apice in questa società consumistica.

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