Contrabbandato metallo giallo per 350 milioni. L'Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini ha messo le mani sul presunto ‘capo’
Per cinque anni il confine sud della Svizzera è stato testimone silenzioso di un traffico di oro di grosse dimensioni. A oggi chi tiene d'occhio, giorno dopo giorno, la nostra frontiera non si era mai imbattuto in un caso del genere. Dal 2016 al 2021, infatti, si è riusciti a trasportare e a importare illegalmente dall'Italia circa 7 tonnellate di metallo giallo, per un valore, si stima, che si aggira attorno ai 350 milioni di franchi. Lastre, lingotti, gioielli e monete che nella gran parte – si parla di 5 tonnellate – sono approdate in Ticino dai valichi del Mendrisiotto, il rimanente è giunto invece in Germania, terra di transito il Principato del Liechtenstein. A tirare i fili di quella che si è rivelata essere una vera e propria organizzazione, secondo quanto è stato ricostruito, era una sola persona: un 65enne cittadino italiano, già domiciliato in Svizzera per un periodo e ora da qualche anno residente nel suo Paese, chiamato a rispondere di una serie di reati. A risalire al ‘capo’ sono state le indagini condotte dall'Antifrode doganale dell'Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (Udsc). Un risultato importante che s’inserisce in una attività investigativa di squadra che ha visto all'opera, oltre all'Udsc, anche gli inquirenti italiani, tedeschi e del Principato e che ha richiesto quattro anni giusti di lavoro da quando è scattata l'operazione delle forze dell'ordine.
Chiusa l'inchiesta, adesso a parlare saranno le carte processuali. Il presunto ‘boss’ dell’organizzazione, rinviato a giudizio d'ufficio, dovrà comparire, infatti, davanti alla Corte delle Assise correzionali. E a sostenere l'accusa nei suoi confronti, secondo il diritto penale amministrativo, sarà lo stesso Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini. Udsc che il 10 gennaio scorso ha trasmesso l'atto d'accusa al Tribunale penale cantonale. Al 65enne vengono contestate la truffa qualificata in materia di tasse, la sottrazione d'imposta (Iva) qualificata, l'infrazione doganale qualificata e l'inosservanza delle prescrizioni secondo la legge sul controllo dei metalli preziosi. In effetti, l'uomo dopo aver contrabbandato l'oro lo vendeva in Svizzera attraverso società riconducibili ai membri della stessa organizzazione – producendo della documentazione contabile falsa –, mettendo poi al sicuro in Italia i proventi, reinvestiti in altri acquisti d'oro. Tutto ciò evadendo quasi 25 milioni di franchi di imposte. Quanto basta, insomma, per convincere l'Ammistrazione doganale a proporre una pena detentiva di tre anni e una multa non inferiore al mezzo milione franchi, oltre all’espulsione per almeno 10 anni.
Come ai tempi del contrabbando di sigarette, per trasferire il metallo giallo lungo le vie dei traffici illeciti ci si affidava a degli spalloni, diversi in realtà. ‘Corrieri’ che, come si è accertato, si incaricavano di trasportare il prezioso carico a bordo di veicoli nei quali erano stato ricavati dei nascondigli nel cruscotto, nel serbatoio oppure nello schienale dei sedili. E la frontiera da cui passavano, perlopiù, era quella meridionale. Anche se sulla loro rotta non vi era una dogana in particolare. «Per transitare – ci spiega Fabio Meroni, capo dell'Ufficio antifrode dell'Udsc – utilizzavano tanto i valichi custoditi che quelli incustoditi al confine con le province di Como e Varese». Un traffico, come detto, organizzato quanto sistematico.
Tutto è filato liscio, finché quegli stessi spalloni non sono finiti nella rete degli investigatori. Alcuni di loro, come ci conferma ancora Meroni, sono stati intercettati a Ponte Chiasso, proprio poco prima di mettere piede in Svizzera. In un caso il fermo è avvenuto invece al Gaggiolo – alla frontiera di Stabio – ad opera delle autorità italiane. Di fatto in territorio svizzero non sono mai stati presi dei contrabbandieri con il metallo giallo nell'auto. «È grazie alla collaborazione con i colleghi italiani, tedeschi e del Principato del Liectenstein – ci illustra il capo dell'Antifrode – che siamo riusciti a ricostruire il percorso dell'oro, dai luoghi di partenza in Italia sino alla Germania, e a fare luce sui quantitativi rimasti in Svizzera. Nello scambio delle informazioni abbiamo saputo, infatti, dei fermi effettuati dagli inquirenti d'Oltreconfine».
Quella messa in piedi, in effetti, ci fa presente Meroni, «era una organizzazione dedita a raccogliere, su suolo italiano, in modo sistematico l'oro. Operazione che veniva fatta illegalmente. In Italia la vendita avveniva senza fatturazione, e dunque senza pagare le imposte sulle transazioni, e si concretizzava tra persone non autorizzate a commerciare in oro». Il che al di là della frontiera è reato e quindi va perseguito. In buona sostanza la compravendita era effettuata tutta sottobanco. Una pratica che ha portato alla luce, di fatto, un mercato parallelo illegale.
Una volti giunti da questa parte della dogana, poi, lastre, lingotti, gioielli e monete – dunque il metallo nelle sue varie forme – venivano venduti, da una parte, a società – e ve ne sono parecchie in Ticino – che si occupano di compravendita, dall’altra a una società attrezzata anche delle apparecchiature per fondere il metallo prezioso. In altre parole, ciò che veniva contrabbandato era poi rivenduto, in prima battuta, sia a intermediari che si muovono nel settore della compravendita, sia a fonderie. Una attività, ci illustra Meroni, alla quale si è risaliti grazie alla documentazione contabile sequestrata nel corso delle perquisizioni effettuate sul territorio cantonale. «In base alla destinazione dell'oro – annota – abbiamo ricostruito, infatti, i quantitativi trasferiti».
Un lavoro investigativo che ha impegnato non poco gli inquirenti e che rappresenta una prima per la sua importanza. Sia chiaro, da sempre il metallo giallo attraversa la frontiera, arrivando, in particolare, in Ticino. È pure vero, però, annota il capo dell'Antifrode, «che buona parte dell'oro viene importata in modo irregolare. Dichiararlo in importazione e in esportazione metterebbe in allerta soprattutto le autorità estere». Davanti all'attività ritenuta illecita messa in piedi dal 65enne e dai suoi complici i campanelli d'allarme sono suonati, eccome.