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Con la cocaina dall'Olanda all'Italia, e ritorno

La Corte delle Assise criminali di Mendrisio ha condannato a 4 anni 6 mesi un 39enne fermato a Brogeda con 4 chili di sostanza stupefacente

Il traffico è stato stroncato il 13 luglio scorso
(archivio Ti-Press)
15 gennaio 2025
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Ha dichiarato di aver agito «perché obbligato dalla persona con cui avevo debiti» il 39enne albanese giudicato dalla Corte delle Assise criminali di Mendrisio presieduta dal giudice Amos Pagnamenta. Corte che non ha creduto alla tesi della costrizione e lo ha riconosciuto colpevole di infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti e infrazione alla Legge federale sugli stranieri e condannato a 4 anni e 6 mesi di detenzione per il traffico di 4 chili di cocaina intercettato il 13 luglio scorso alla dogana di Chiasso Brogeda. L’uomo è inoltre stato espulso per 8 anni dalla Svizzera, con iscrizione al sistema informativo Schengen. Nei suoi confronti il procuratore pubblico Alvaro Camponovo ha chiesto una condanna a 5 anni di detenzione (oltre a 10 anni di espulsione); l’avvocato Barbara Pezzati si è invece battuta per una pena di tre anni parzialmente sospesa.

‘Ho pensato mi volessero fregare’

Come spiegato nell’atto d’accusa – il 39enne ha interamente ammesso i fatti –, l’11’luglio scorso l’imputato è partito dall’Olanda con 5 panetti di cocaina occultati in un ricettacolo ricavato sotto la console del tunnel centrale di un veicolo con targa tedesca «di proprietà di un amico di mio fratello». È stato lo stesso imputato a portare l’auto in Olanda e consegnarla a «dei marocchini» che hanno creato il nascondiglio. Un lavoro «che ho pagato io con i soldi che mi sono stati dati da una persona in Germania». Transitando via Basilea e via Brogeda, l’uomo ha raggiunto Savona, dove ha pernottato. «Le persone a cui dovevo consegnare la cocaina non erano presenti – ha aggiunto l’imputato rispondendo alle domande del giudice –. Per questo ho deciso di tornare indietro». Non prima di «lanciare un ultimatum: ho pensato mi volessero fregare e mi sono innervosito. Non ho ragionato sulle conseguenze, ho buttato il telefono e ho deciso di tornare ad Amsterdam». Viaggio che si è però interrotto alla dogana di Chiasso dopo un controllo che ha portato alla luce la droga occultata. La tesi non ha convinto la corte. «Se i fatti sono incontestabili – ha affermato Pagnamenta durante la lettura della sentenza – non si può non evidenziare che alcuni aspetti restano nebulosi». Tra questi il giudice ha citato il fatto che «sia stato l'imputato a decidere di rientrare o che sia stato lo stesso mandante a incastrarlo e farlo scoprire alla frontiera». A questo si aggiunge la costrizione dell'azione, definita «non compatibile con il fatto che abbia gettato il cellulare e deciso che non si trattava di un lavoro adatto a lui, rendendosi irreperibile ai suoi mandanti con un ingente quantitativo di cocaina in auto». A generare i suoi debiti, aumentati anche per il gioco d’azzardo, è stata la volontà di curare il figlio, nato con una malformazione al braccio. Il compenso per la consegna dello stupefacente sarebbe stato di 10mila euro. Quando è stato fermato il 39enne aveva circa 4’300 franchi che, a suo dire, gli sono stati prestati dalla sorella.

Quei passaggi in Svizzera

Il viaggio che ha portato al suo fermo non è stato il primo effettuato dall’imputato, residente in Albania, in Svizzera. Durante l’inchiesta è infatti stata constatata la presenza del 39enne in più occasioni. Non sono però emersi legami che lo riconducano a eventuali altri trasporti di droga. «Per me la Svizzera era una via di transito verso l’Albania o l’Italia, dove volevo portare la mia famiglia per curare mio figlio, e dove un amico mi stava aiutando a iscrivermi per avere il visto». Proprio in una di queste occasioni «sono stato obbligato a portare la macchina in Olanda e ora mi trovo in questa situazione, per la quale mi pento tanto».

‘Dichiarazioni poco credibili’

L’imputato è come detto arrivato davanti alla Corte ammettendo tutti i fatti. «Non ha però fornito ulteriori informazioni per meglio chiarire il traffico di droga – ha sostenuto il procuratore pubblico Alvaro Camponovo – e le sue dichiarazioni sono poco credibili». A livello soggettivo «ha dimostrato una forte volontà delinquenziale prestandosi a un trasporto internazionale e agendo per scopo di lucro. Avrebbe avuto altri modi per provvedere alle spese mediche del figlio». Per l’avvocato Barbara Pezzati quello del luglio scorso è stato «un unico viaggio perché la stessa sostanza è stata portata avanti e indietro» e la Svizzera «è stata solo un territorio di transito». La difesa ha chiesto l’attenuante del sincero pentimento definendo la colpa del 39enne «medio-lieve» visto che «meno di due chili di sostanza è risultata essere pura». La Corte non ha riconosciuto l’attenuante. «È vero che l'imputato, la cui colpa è oggettivamente e soggettivamente grave, ha spiegato come aprire il ricettacolo dopo che è comunque intervenuto il Gruppo specialisti visite, ma non ha fornito nomi o elementi per distanziarsi dall'organizzazione per cui lavorava», ha concluso il giudice.

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