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Riportato alla luce il patrimonio di Art Brut di Casvegno

Parte della collezione del Club ’74 esposta in una mostra collettiva al Campus Supsi. Con l'ambizione di conquistarsi uno spazio permanente

I lavori di sedici artisti ‘invadono’ il Campus
(Ti-Press/Francesca Agosta)
15 gennaio 2025
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Colore, forme e un messaggio potente, a tratti spiazzante, ed è tutto lì, concentrato su di un foglio o in una statua. È la forza dell’Art Brut, ribelle, anticonvenzionale, ma soprattutto espressione di storie, vissuti, spesso dolorosi. La novantina di opere che, sino al 20 febbraio prossimo, ha fatto irruzione negli spazi del Campus Supsi a Mendrisio, sanno raccontare molto dei loro autori. Persone che, per una parte della loro esistenza, hanno incrociato la realtà di Casvegno. Ad accogliere la loro sofferenza e ad amplificare la loro creatività il Club ’74, da oltre 50 anni ormai un luogo di libertà e integrazione all’interno dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale (Osc). E una volta di più questa mostra, intitolata (non a caso) ‘Collettiva ‘74’, inaugurata ieri sera alla presenza delle autorità cantonali e locali, riesce a infrangere le barriere e ad allontanare lo stigma che per decenni ha accompagnato i pazienti dell’Osc.

È proprio dai vecchi padiglioni che sono riemersi, a centinaia, i lavori degli utenti, capaci di trasmetterci una eredità preziosa e un racconto che merita di essere custodito. Tanto da aspirare di ritagliare, dentro Casvegno, una degna collocazione. Nel cassetto, infatti, c’è, da un po’, ci mette a parte Valentino Garrafa, animatore socioculturale al Servizio di socioterapia Osc e responsabile del progetto, l’idea di realizzare uno spazio espositivo permanente. Che sarebbe un unicum in Ticino.

Un punto d’arrivo e un nuovo inizio

C’è da credere, quindi, che la mostra-evento ospitata dal Campus Supsi rappresenti oggi una prima ribalta e un punto d’arrivo che ha il sapore di una nuova partenza. E mai ribalta è stata più azzeccata: l’architettura dell’edificio ha saputo, in effetti, accogliere e abbracciare al meglio dipinti e statue dei sedici autori selezionati grazie alla collaborazione dello storico dell’arte Ivano Proserpi, curatore dell’esposizione, riconsegnandoli al meglio al visitatore che, per scelta o casualità, si ritrova a tu per tu con una piccola parte (in verità) della collezione di Art Brut del Club ’74. A darci il benvenuto, ieri mattina, nella nostra incursione fuori dall’ufficialità e a qualche ora dalla vernice è un totem coloratissimo, frutto del lavoro corale degli utenti. Un bel viatico a un ‘viaggio‘ coinvolgente. Lo stesso percorso sfociato nella mostra, corredata da un catalogo-pubblicazione (da una idea di Anna De Antoni, del terzo anno al Csia), parte da lontano.

Al lavoro dal 2023

«L’operazione è partita nell’autunno del 2023 – ripercorre Proserpi –. Coinvolto da Valentino Garrafa, il mio passato ventennale di docente al Centro scolastico per le industrie artistiche (Csia) ha permesso poi di consolidare una collaborazione proficua anche con alcuni insegnanti – l’architetto Matteo Bianchi – e studenti di una classe dell’Istituto. Ragazzi che hanno contribuito a documentare fotograficamente le diverse opere che, nel frattempo, sono state raccolte in un unico spazio a Casvegno. A partire della primavera del 2024 è iniziata poi una campagna fotografica seguita da Andy Vattilana, dando modo così di registrare i lavori attraverso una breve scheda. L’intendimento nato sulla spinta del Club ’74 era quello, del resto, di riuscire per la prima volta a riunire tutte queste opere – alcune delle quali già esposte in passato in alcune mostre a livello cantonale e riproposte qui –, sparse nei vari stabili di Casvegno, e non solo, consegnando una sorta di catalogazione e regalando loro una sistemazione adeguata dentro l’Osc. Un inventario tuttora in divenire, anche perché in questi mesi ogni volta che mi recavo a Casvegno riemergeva un pezzo nuovo».

‘Serve un luogo espositivo’

Una scoperta continua, insomma, che ha convinto della necessità di destinare un luogo deputato a ospitare queste testimonianze artistiche. «Sin qui ne abbiamo trovate e recuperate più di 400 (450, ndr) – ci conferma Valentino Garrafa –. Ecco che la nostra ambizione è quella di creare uno spazio espositivo permanente a Casvegno. Le infrastrutture, del resto, non mancano, così come le collaborazioni di supporto. Ci teniamo parecchio e i presupposti ci sono. In fondo – tiene a rimarcare il responsabile del progetto –, siamo davanti a un patrimonio culturale del cantone, espressione di mezzo secolo di storia dell’Osc».

Ivano Proserpi non nasconde di essersi lasciato prendere da questa esperienza. La storia dell’arte nel corso della sua carriera professionale lo ha portato a occuparsi di altri periodi e filoni artistici, ma a ben vedere quello con l’Art Brut, incrociata durante i suoi studi a Losanna – peraltro sede della ‘Collection de l’Art Brut’, punto di riferimento a livello internazionale –, era solo un incontro rimandato. «Questa, infatti, è una operazione interessante, anche per il coinvolgimento della scuola. Per me è stato molto stimolante – ci spiega Proserpi –. Il mio obiettivo non era, d’altra parte, dare un parere critico, ma selezionare un gruppo di lavori e seguire l’allestimento della mostra. In effetti, non si voleva fare un lavoro di tipo interpretativo, molto difficile. Qui si sono scelte le opere di sedici autori, che nei 50 anni del Club hanno partecipato alle sue attività, di valenza associativa e terapeutica. Alcune di queste persone sono morte, altre sono rimaste in contatto con il Club».

Non solo arte

Anche per lo storico dell’arte l’operazione non dovrebbe esaurirsi qui. «Sarebbe importante ora ricostruire le biografie degli autori, senz’altro utili a conoscerli meglio. Mi rendo conto che non è facile recuperare il loro vissuto. Facendolo ci si muoverebbe, però, nel solco di quanto fa la ‘Collection de l’Art Brut’ di Losanna. Certo di lavoro da fare ce n’è ancora parecchio».

Le opere di Art Brut, concetto coniato del pittore francese Jean Dubuffet, escono dalle mani di autodidatti che, parafrasando la definizione che si può leggere sul sito del museo losannese, si lasciano guidare dal loro spirito ribelle e impermeabile alle regole e ai valori collettivi, creando senza preoccuparsi della critica o del pubblico, o dello sguardo altrui.

Decidere cosa portare e cosa no tra 450 lavori, c’è da immaginare, sia stato arduo. «In alcuni emergeva subito evidente l’esigenza di esporli, in altri un po’ meno. È chiaro, si è resa necessaria una selezione da portare al Campus. A cui si è aggiunta una sorta di finestra di lancio a LaFilanda a Mendrisio, dove è stata allestita una parete che indirizza alla Supsi – annota lo storico dell’arte –. Va detto che di alcuni autori ci sono cinque o sei lavori, di altri un numero maggiore. Ve ne sono tre o quattro di cui abbiamo parecchie opere».

‘Occorre andare oltre l’estetica’

Quando, da storico dell’arte, si è trovato davanti a questi dipinti, a queste statue, qual è stata la prima impressione? «Sono lavori belli anche esteticamente, anche se limitarsi a un discorso del genere sarebbe limitativo – avverte Proserpi –. Sono però molto ricchi, anche sul piano formale, e curiosi, portatori di contenuti e messaggi, certo a volte difficili da decifrare. E come spesso è nell’Art Brut sono opere piene di tante cose. Questi artisti hanno la tendenza a riempire molto il foglio. Di sicuro opere che non lasciano indifferenti». Affrontando la rampa della scuola ben presto ci si rende conto che è così.

Dopo aver incontrato, in modo inaspettato, un cavallo (opera collettiva) e una pecora (di Michael Wittwer) sgargianti, ci si imbatte in alcune statue (teste) di Stefano Bean. «Sono lavori molto forti, in terracotta, ben realizzati, che potrebbero ricordare l’arte primitiva, volendo entrare in un discorso tradizionale sull’arte, ma vanno letti con occhi diversi», invita Proserpi. Come dire non lasciatevi distrarre da possibili rimandi a stili o artisti della storia dell’arte, oltre c’è dell’altro. Incasellare questi autori non è possibile. Sebbene, ci fa sapere Proserpi, il mercato dell’arte abbia cercato di farli suoi, proponendoli come degli ‘outsider’. Ma è solo una ‘corrente’ di pensiero. Altri tendono a sfuggire alle etichettature.

Un ‘viaggio’ sorprendente

«Per noi – conferma il curatore – è molto importante dire che sono autori che hanno lavorato all’interno di un Club con finalità di tipo terapeutico. Quindi li consideriamo autori di Art Brut che operano in un tale contesto». Lo si deve, d’altra parte, pure al loro vissuto. «Siamo di fronte a dipinti o statue molto espressivi che ci restituiscono ciò che, in quel momento, si muoveva dentro chi li ha realizzati, tra sofferenze e speranze. E il Club ’74 è stata una bella occasione per loro di manifestare sé stessi». Parrà strano, ma lo si vede persino nelle bacheche e nei pannelli ideati ad hoc in laboratorio dagli stessi utenti del Club, che si sono tuffati di slancio in questa avventura espositiva, che ha regalato loro pure nuove competenze nel lavoro di catalogazione.

Chi visita la mostra non deve fare altro, comunque, che lasciarsi trasportare tra le opere e avvolgere da forme e colori, che riescono a essere sorprendenti (vale la pena soffermarsi su Ines Lingenhag, andate alla ricerca del porcospino, o Loris Prest). Bisogna, però, pure prepararsi, passando dallo spazio al piano superiore al piano terra, sino alle pareti allestite nella mensa, a ricevere dei veri e propri pugni nello stomaco e a recepire tutta l’inquietudine di un volto, una rappresentazione, come nel caso dei lavori di Samuel Giger (tra i più presenti) o di Françis Rougier.

Completato il ‘viaggio’ nella mostra non si può, però, che essere grati per l’intuizione di aver portato alla luce i lavori di questi artisti di Casvegno, rompendo una volta di più con i pregiudizi e ridando loro la dignità che meritano.