Mendrisiotto

Cocaina, condanne oltre i 10 anni per i due ex amanti

L'uomo e la donna hanno preso parte a un traffico della sostanza stupefacente dal Belgio all'Italia. Erano stati fermati nel Mendrisiotto lo scorso anno

(archivio Depositphotos)

Per lui dodici anni e sei mesi di carcere, più un'espulsione dall'area Schengen di 15 anni, per lei 10 anni e sei mesi di detenzione. È stata questa la sentenza pronunciata dal giudice Marco Villa, presidente della Corte delle Assise criminali di Mendrisio (a latere Luca Zorzi ed Emilie Mordasini) che si è riunita oggi a Lugano. Gli imputati, entrambi residenti in Svizzera tedesca, avevano collaborato al trasporto, in sette occasioni diverse, di un'importante quantità di cocaina dal Belgio verso l'Italia. La donna, 35enne kosovara, trasportandola nella sua macchina, l'uomo, 47enne albanese, facendo da staffetta ai valichi per controllare che non ci fossero controlli. La procuratrice pubblica Pamela Pedretti aveva supposto che per ogni viaggio i chilogrammi fossero pressoché gli stessi di quando i due ex amanti erano stati fermati nel Mendrisiotto ad aprile 2022, ovvero circa 15 chili. La Corte, però, ha dato ragione alle difese, indicando che non è possibile determinare il quantitativo esatto di sostanza trasportata negli altri viaggi. I due sono dunque stati giudicati per un «indeterminato quantitativo di chili di cocaina». La colpa di entrambi è stata considerata gravissima, in particolare per i quantitativi, la frequenza dei trasporti (sette in quattro mesi), il carattere internazionale del traffico. La donna è stata inoltre giudicata colpevole per riciclaggio di denaro, per quanto riguarda i 10mila euro ricevuti per il primo viaggio. Imputazione che però non ha avuto peso nella commisurazione della pena, in quanto «senza il traffico di stupefacenti non ci sarebbe stato il riciclaggio». L’uomo è stato invece ritenuto colpevole di inganno nei confronti delle autorità per non aver indicato i precedenti penali in Italia, sempre legati alla droga, in un modulo per ricongiungimento familiare.

‘Un binomio criminale consolidato’

Per i giudici, i due imputati sono correi al 100%: «Hanno costituito un binomio criminale consolidato e ben organizzato», ha indicato Villa. Pur sempre nella correità, «il ruolo dell’imputato è stato sicuramente più importante». Secondo la Corte è infatti «stato lui a prendere contatto con il cittadino albanese che dava poi le indicazioni principali, è lui che ha fornito alla 35enne un telefono criptato, è lui che ha indicato il tipo di macchina acquistare per poter creare i ricettacoli, è lui che viene contattato da terzi per un possibile futuro traffico a Losanna, è lui che facendo da staffetta manifestamente indica la sua volontà di correre meno rischi: normalmente nella scala gerarchica di un’organizzazione, chi è più in alto fa fare il lavoro sporco a chi ha un ruolo inferiore». Il 47enne, durante il processo si era mostrato pentito: «So di aver sbagliato. Chiedo scusa a tutti. Posso garantire che quando sono arrivato in Svizzera (nel 2019, ndr) avevo intenzione di fare una vita onesta, di vivere con mia moglie e allontanarmi dall’Italia dove ho avuto un passato difficile».

La Corte non ha dato seguito alla contestazione del 47enne riguardo all’episodio avvenuto a Losanna, durante il quale l'uomo, accompagnato dalla 35enne, avrebbe incontrato un conoscente per consegnargli circa 150 grammi di cocaina. A convincere i giudici che non si è trattato di un semplice incontro di piacere, come invece sostenuto dall'uomo, ci sono vari elementi. Tra questi, alcuni messaggi scambiati con una terza persona farebbero presupporre si trattasse di un appuntamento legato al traffico di cocaina. «Non si fa un viaggio fino a Losanna solo per salutare un amico e parlare pochi minuti», ha poi aggiunto Villa. Secondo la Corte l'incontro era volto a sottoporre la sostanza per una possibile collaborazione futura. A conferma di ciò ci sarebbe una frase detta dall'imputato e riferita dalla 35enne: «Forse nei prossimi viaggi potresti non dover andare più fino in Italia».

Esplusione solo per l'uomo

Riguardo all’espulsione, non è stata accolta la richiesta della difesa dell'uomo, rappresentata da Sandra Xavier. Per i giudici «è innegabile che la protezione dell’ordine pubblico internazionale debba portare a un’espulsione dall’area Schengen». Vista la gravità dei fatti, la Corte ha optato per 15 anni, rispetto ai 13 chiesti dalla procuratrice. Per la donna, invece, i giudici hanno riconosciuto le motivazioni della difesa: «È in Svizzera dal ‘98, ha tutti i suoi affetti principali qua, si è ben ambientata. Tutti gli elementi indicano che si tratta di un caso di rigore». Resta però pendente un’eventuale decisione amministrativa del Canton Soletta, che l’aveva ammonita indicando un possibile ritiro del permesso C se avesse commesso altre azioni penalmente rilevanti. La donna infatti aveva compiuto delle infrazioni, legate principalmente alla ditta, ora in liquidazione, che l’ex marito aveva aperto a suo nome.

‘Sono molto pentita per quello che ho fatto’

La difesa della donna, rappresentata Marina Gottardi, aveva chiesto questa mattina una pena non al di sopra dei cinque anni. Questo in quanto la 35enne si è mostrata collaborativa in fase d’inchiesta. «Inizialmente, per paura, è stata reticente, ma poi ha fornito racconti dettagliati, affermazioni che hanno poi trovato conferma nelle prove raccolte». Secondo l’avvocata, «con le sue dichiarazioni ha accusato in primis se stessa e non ha fornito versioni di comodo. Nonostante sarebbe stato comunque possibile ricostruire i viaggi, anche se impiegando più tempo, senza il suo contributo sarebbe stato difficile ottenere i dettagli come luogo di carico, destinazioni, compensi e modalità pratiche». Oltre alla collaborazione, la difesa aveva puntato sul fatto che la donna avrebbe agito in un momento di forte incertezza e fragilità: era sommersa dai debiti della ditta, aveva appena perso il lavoro per un problema di salute e pensava di aver trovato nel 47enne l’amore della sua vita, nonché una figura paterna per il figlio. Inoltre, la 35enne avrebbe mostrato un sincero rimorso: «Sono molto pentita. Non riesco a credere di aver fatto una cosa del genere. La mia famiglia mi ha perdonata, dicendomi di essere forte, ma io non riesco a perdonare me stessa», ha detto in aula l’imputata.

La difesa si era opposta pure alla proposta di espulsione fatta dalla procuratrice, in quanto la donna vive in Svizzera da quando era bambina e anche tutta la sua famiglia risiede in Svizzera interna. «È perfettamente integrata e il figlio di tredici anni ha bisogno di lei», ha ricordato l’avvocata. Lo stesso discorso valeva anche in caso di un’espulsione dall’area Schengen: «In Kosovo ha solo uno zio. Se venisse allontanata unicamente dalla Svizzera, potrebbe stabilirsi in Germania, permettendo così al figlio di andarla a trovare».

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