Mendrisiotto

Tensioni Taiwan-Cina: ‘Sull’isola siamo abituati’

Peiwei Chin, in Ticino dal 2005, osserva l’evolversi della situazione preoccupato per la famiglia, sperando nella pace

Peiwei Chin, in Ticino dal 2005 e oggi preoccupato per il proprio Paese d’origine: Taiwan
22 agosto 2022
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Preoccupato per i propri cari, nonostante «siamo abituati a questa tensione». Peiwei Chin vive in Ticino dal 2005 e lavora per una grande azienda tedesca nel Mendrisiotto. Fa parte della piccola comunità taiwanese presente nel cantone, poche decine di persone attive perlopiù nel settore informatico e per grandi marchi internazionali, che da lontano segue il peggioramento dei rapporti fra l’isola e la Repubblica popolare cinese. Il 47enne ci spiega come sta vivendo questo particolare momento.

Ha amici e parenti a Taiwan?

Sì, ho tanti amici e ancora parte della famiglia lì: mio padre e mia sorella, per esempio. Grazie alla tecnologia, ai vari social media, ci sentiamo regolarmente, quasi tutti i giorni. Sono originario di Keelung, una città portuale a trenta minuti circa da Taipei, e torno a far loro visita almeno una volta all’anno.

Che cosa le dicono? Hanno paura?

Alcuni sono preoccupati, ma la maggior parte dei miei conoscenti è tranquilla al momento perché siamo abituati a tanta tensione e alla minaccia militare cinese. Stanno quindi continuando a vivere la loro vita normalmente in queste settimane.

E lei, è preoccupato?

Sì, un po’ sì, perché la situazione in Cina recentemente non è molto stabile. Il presidente Xi vorrebbe un terzo mandato. E poi hanno affrontato la pandemia con la strategia zero Covid e l’economia è in rallentamento. Personalmente credo che Taiwan sia in pericolo solo quando la Cina diventa instabile. Come dimostra la storia, le persone al potere di solito tendono a distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi interni focalizzandosi sulle minacce esterne. Anche se queste minacce non esistono. Questo è particolarmente vero quando le decisioni vengono prese da una sola persona. Quindi il momento è difficile, ma come dicevo siamo abituati a questa tensione. Ricordo che quando ero bambino, alle elementari ogni tanto si tenevano esercitazioni di difesa aerea, simulando un attacco aereo dalla Cina.

Quindi la ‘paura’ fa parte della normalità?

In un certo senso sì. Anzi, forse addirittura una volta c’era più paura rispetto a oggi. La Cina sta mostrando i muscoli, ma a molti questo appare come un atto quasi retorico. La minaccia cinese è un tema frequente, ma non blocca la vita di tutti i giorni.

Come mai si è arrivati a quest’alta tensione?

È difficile da dire. Immagino che l’equilibrio fra Cina, Stati Uniti e Taiwan sia cambiato negli ultimi decenni. La Cina è diventata una superpotenza ed è più assertiva. Gli Stati Uniti d’altra parte non sono più l’unica superpotenza che può esercitare un ruolo dominante in ambito economico e politico. Taiwan, infine, si è allontanata dall’idea ‘una Cina, due sistemi’, dopo aver visto quanto successo a Hong Kong e nello Xinjiang.

Colpa anche della guerra in Ucraina?

Secondo me sì, penso in due modi. Da un lato si tratta di un conflitto che nessuno pensava sarebbe realmente accaduto e questo deve essere un campanello d’allarme. D’altra parte, si vede che un piccolo Paese, se ben sostenuto, è in grado di difendersi per tanto tempo da un gigante. Anche questo deve far riflettere.

Ha rapporti con le comunità taiwanese e cinese in Ticino? Sono sereni o tesi i rapporti fra le due?

Sì conosco diversi taiwanesi e non c’è un approccio omogeneo alla crisi: c’è chi è preoccupato e chi no. Conosco anche alcuni cinesi e direi che in generale i rapporti sono sereni. Ho anzi l’impressione che, soprattutto quei cinesi che vivono da lungo tempo in Svizzera, provino simpatia per Taiwan.

Come descriverebbe in breve Taiwan invece a chi non conosce il suo Paese?

È un’isola subtropicale con altissima densità di popolazione (oltre 23 milioni di abitante su una superficie inferiore a quella della Svizzera, ndr). Eppure c’è molto ordine, ricordo la metropolitana affollata ma pulitissima. Ricordo che bevevo una tazza di bubble-tea al giorno quando lavoravo a Taipei e poi la nostra è una democrazia ‘rumorosa’. C’è passione per la politica e la popolazione è molto attaccata alla cosa pubblica: i candidati sono sempre numerosi e le percentuali di votanti alle elezioni si aggirano attorno al 75%, come ad esempio alle presidenziali del 2020. È un bel Paese.

Un Paese però con limitato riconoscimento internazionale.

Con i documenti di Taiwan in realtà è abbastanza semplice viaggiare nella maggior parte dei Paesi sviluppati, come Stati Uniti, Europa e Giappone, senza alcun visto. All’aeroporto di Milano Malpensa, per esempio, possiamo transitare dalla corsia preferenziale semplicemente scansionando il passaporto, sebbene sia la bandiera sia il nome di Taiwan siano stati rimossi e sostituiti da una sigla. È piuttosto paradossale. Tuttavia, in alcune situazioni ho avuto dei problemi: ad esempio, una volta il Kenya non mi ha concesso il visto senza fornire alcuna motivazione.

Le piacerebbe tornare a vivere nel suo Paese d’origine?

Non lo so. Molto dipende dal fatto se Taiwan resterà lo stesso posto come lo conosciamo oggi, una democrazia libera.

E come crede che si possa risolvere la situazione di conflitto con la Cina?

Chi ha la risposta a questa domanda, merita il Premio Nobel per la pace (ride, ndr). Io desidero semplicemente che possa essere mantenuto lo status quo. La guerra è una cosa orribile, ma purtroppo che ci dimentichiamo di quanto possa esserlo.

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