Mendrisiotto

‘Ha picchiato moglie e figli ma non voleva ucciderli’

Nel processo contro il 48enne siriano, la difesa chiede il proscioglimento dal tentato omicidio e una condanna di massimo 5 anni

10 luglio 2020
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«È evidente che l'imputato ha un modo di pensare tutto suo». Nel processo contro il 48enne siriano a processo da ieri davanti alla Corte delle Assise criminali di Mendrisio per rispondere di tentato e ripetuto omicidio intenzionale (in via subordinata messa in pericolo della vita altrui) questa mattina ha preso la parola l'avvocato Maria Galliani. La legale del 48enne si è battuta per il proscioglimento dai reati di tentato omicidio intenzionale e messa in pericolo della vita altrui e ha chiesto una pena non superiore ai 5 anni. A mente della difesa, il 26 dicembre 2018 l'imputato «ha picchiato tanto la figlia, tanto da lasciare i segni constatati sul suo corpo al Pronto soccorso. Ma non voleva ucciderla o mettere in serio pericolo la sua vita: abbiamo un padre che con ogni evidenzia picchia la figlia, la afferra anche per il collo per qualche secondo, ma non così tenacemente per permetterle di liberarsi o da farle credere che volesse ucciderla». Ieri la Procuratrice pubblica Marisa Alfier ha proposto una condanna a 11 anni di carcere. La sentenza è attesa alle 17.

«L'essere manesco, e anche pesantemente, fa parte del suo modo di vivere. Un aspetto – ha sottolineato Galliani – che emerge chiaramente, ma non è sufficiente per condannarlo per tutti i capi di imputazione». A mente della legale, il 48enne «ha picchiato ma non così tanto come dicono le vittime e non così poco come sostiene lui». Occorre tenere presente i «limiti di traduzione ed espressione delle parti, così come del desiderio più che lecito delle vittime di toglierselo di torno e del padre di difendersi». A mente dell'accusa, la moglie e i due figli gemelli dell'imputato «hanno progressivamente rincarato la dose perché giustamente stufi della paura di sbagliare, di essere educati con le botte, di non poter vivere una vita tranquilla con un padre e un marito che non esito a definire un despota non disposto a capire che vivevano in un paese diverso dalla Siria». Galliani ha precisato che «non si tratta di un complotto ma di una comunione di intenti perfettamente legittima: la situazione in cui vivevano doveva cessare». La violenza nei confronti della figlia del 26 dicembre «ha aperto una breccia che hanno forzato una vita tranquilla. Non vanno biasimati ma umanamente compresi».

Quel giorno, come emerso ieri, l'imputato ha saputo che la figlia aveva a sua insaputa ricevuto l'anello di fidanzamento. «Fatti noti al resto della famiglia che hanno avuto un effetto devastante. Questa notizia ha cambiato il suo modo di pensare e per compensare il disonore e mostrare che così non si fa, è diventato manesco e ha picchiato, anche tanto, la figlia». Quanto accaduto nell'abitazione di Novazzano mostra «difficoltà di ricostruzione». Quel giorno «ci sono state percosse e botte, con l'intenzione evidente di picchiare per motivi sbagliatissimi ma non con l'intenzione di uccidere». Parlando degli altri casi di violenza, «mi immagino un uomo che picchia tanto, spesso e senza criterio, ma non vedo un uomo che gioca a calcio con la testa dei suoi figli per ucciderli». Per quanto riguarda la moglie, «l'evidenza emerge dagli atti: la picchiava, ma non allo scopo di metterne in pericolo la vita ma perché il suo modo di fare è orripilante». 

A inizio mattina sono intervenute le legali dei due ragazzi. Gli avvocati Clarissa Torricelli (intervenuta a nome della figlia dell'imputato) e Isabel Schweri (per il figlio) hanno chiesto per entrambi 30mila franchi di indennità per torto morale e il pagamento delle spese legali.

“Ho sbagliato”

L'ultima parola è stata quella dell'imputato. «Chiedo perdono alla Corte e ai miei figli. Ho sbagliato: in questo anno e sei mesi ho avuto modo di riflettere». 

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