Mendrisiotto

Un affido da incubo

Bambina maltrattata e umiliata per due anni. In tribunale i genitori affidatari ammettono

28 marzo 2018
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Maltrattata, punita (anche pesantemente), umiliata. Non ha conosciuto altro per più di 2 anni – fra il 2010 e il 2013 – della sua pur breve esistenza. Un’infanzia già non facile, la piccola vittima si è ritrovata così a vivere come in un incubo. Affidata a una famiglia (all’epoca) residente nel Mendrisiotto, quello che doveva (e poteva) rappresentare un nuovo inizio si è trasformato ben presto in un inferno. Oggi i suoi genitori affidatari ne devono rispondere davanti a una Corte delle Assise criminali di Mendrisio (riunita a Lugano e presieduta dal giudice Mauro Ermani). Ma non si sottraggono alle accuse di cui si chiede loro conto: ammettono i fatti («in linea di massima»). Sì, sono stati loro a infliggere alla bambina tutta una serie indicibile di soprusi, che quasi nessuno osa ora evocare nell’aula del Tribunale. Per questo basta l’atto d’accusa, che ricostruisce quello spaccato di vita dolente. Alla sbarra, però, non sono soli. La procuratrice pubblica Valentina Tuoni ha richiamato alle loro responsabilità anche il tutore e l’assistente sociale, nelle cui mani era stato messo il benessere della pupilla. Per lei non vi sono dubbi, tutti e quattro gli imputati vanno condannati. Innanzitutto per aver violato il dovere d’assistenza o educazione. Le richieste rivolte alla Corte sono eloquenti: 2 anni e 10 mesi (questi ultimi da espiare) per la madre affidataria, alla quale vengono riconosciute delle attenuanti – la pena potrebbe essere ridotta a 2 anni sospesi se accolto il sincero pentimento –, 2 anni sospesi per il padre affidatario e 10 mesi sospesi, ciascuno, per le due figure istituzionali. Una linea, quella dell’accusa, sposata in toto da chi, in aula, ha dato voce alla vittima, l’avvocato Maria Galliani, che ha avanzato altresì una richiesta di indennizzo per torto morale.

Eppure tutto sembrava essere cominciato con le migliori premesse e intenzioni. D’un canto la voglia di due persone (già genitori) di dare una casa a una bambina in cerca di un approdo sicuro, coscienti che poteva trattarsi di un «caso difficile» (o per lo meno impegnativo). Dall’altro la rete dei servizi, preposta a mettere in cima alla lista i diritti della bimba. Qualcosa, però, si incrina quasi subito. Tanto che la donna arriva a vedere nella bimba una nemica della sua famiglia e di fatto la rifiuta. Mentre il padre affidatario, rimprovera Galliani, si limita a «girare la testa da un’altra parte e adeguarsi alla situazione». Per lui quell’affidamento, di cui non era entusiasta, era anche un’opportunità per arrotondare le entrate famigliari.

Quelle grida inascoltate

Poi è un crescendo di maltrattamenti – a un certo punto le vessazioni si fanno quotidiane – che porta la madre affidataria fin sull’orlo del baratro, sino a creare «un pericolo concreto e serio» per la vita della piccola. Un rischio di cui si rende conto e che la spinge, come lei stessa ha confermato nel corso del dibattimento, a lanciare un «grido d’aiuto» proprio all’indirizzo di tutore e assistente sociale. Un grido che non sarà raccolto. Ma a restare inascoltata in quegli anni è la sofferenza che sta vivendo la bambina. Un disagio profondo che la segna nel corpo e nell’anima. È la scuola la prima, nel 2010, ad accorgersene e a fare una segnalazione alle autorità. Da quel momento, rincara la procuratrice pubblica, gli indizi che portano all’inadeguatezza della famiglia affidataria ci sono e «sono parecchi». Nonostante ciò, puntano il dito accusa e patrocinatrice della vittima, tanto il tutore che l’assistente sociale non intervengono né «fanno nulla per proteggere la bambina». Un atteggiamento omissivo, quello che viene loro contestato, ribadisce Valentina Tuoni, spiegato con la sola preoccupazione di non far fallire l’affido, «costi quel che costi», ed evitare che il padre naturale scopra dove è collocata la piccola. Così i due operatori, rimarca la pp, non informano i loro superiori. Anzi, corrobora Galliani, temporeggiano. Tanto da «aspettare troppo a lungo prima di salvare la piccola» e mettere fine a un affidamento che «andava interrotto senza se e senza ma». Lo si farà d’ufficio nella primavera del 2012 con una motivazione ufficiale che si scoprirà essere ben lontana dalla realtà dei fatti. Bisognerà attendere ancora l’inizio del 2013 per la denuncia alla magistratura e l’apertura di un procedimento.

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