Emerge dalle carte desecretate dell’inchiesta. Come la strategia che la Polizia avrebbe dovuto adottare in caso di resistenza: ‘Prendendoli per fame’
E, come immaginato dal principio, anche il direttore del Dipartimento delle istituzioni era a conoscenza che il 29 maggio del 2021 il Centro sociale occupato autogestito (Csoa) il Molino sarebbe stato sgomberato. Il nome di Norman Gobbi emerge dagli incarti desecretati dell’inchiesta condotta dal procuratore generale Andrea Pagani ed era tra le parti annerite e che la Polizia cantonale si è rifiutata di consegnare agli atti ‘in chiaro’. Un oscuramento bocciato dal giudice dei provvedimenti coercitivi Ares Bernasconi. E oggi, riferisce il portale areaonline.ch, spunta il nome del consigliere di Stato.
Lo sgombero del centro sociale situato all’ex Macello era nell’aria. Nei mesi precedenti era infatti stata regolarmente disdetta la ventennale convenzione fra l’associazione Alba – che rappresentava gli autonomi –, la Città e il Cantone. Ultimo tassello di un costante aumento delle tensioni fra il Municipio luganese e l’autogestione, la disdetta era dunque attesa. Non era per contro noto il giorno che questa sarebbe andata in scena, né tantomeno la tanto contestata e controversa demolizione. Abbattimento dello stabile che, a differenza dello sgombero, non aveva alle spalle un iter giuridico regolare e per il quale ancora oggi è pendente un’inchiesta a carico del vicecomandante della Polizia cantonale Lorenzo Hutter e della capodicastero Sicurezza di Lugano Karin Valenzano Rossi, all’epoca dei fatti in carica da circa un mese e mezzo.
Inizialmente sentiti come persone informate sui fatti, questi ultimi – a seguito della denuncia dei Verdi – sono poi diventati ufficialmente indagati per le ipotesi di reato di abuso di autorità, violazione delle regole dell’arte edilizia e infrazione alla legge sulla protezione dell’ambiente. Il pg ha poi chiuso le indagini piuttosto velocemente e, pur criticando gli agenti per un malinteso sulla demolizione – la confusione sarebbe avvenuta sulle parole tetto/tutto –, ha firmato il decreto d’abbandono perché a suo dire la decisione sarebbe stata presa in uno stato di “necessità esimente”, ovvero dettata dall’emergenza. Quale? La sicurezza, in quanto il tetto sarebbe stato pericolante. Tuttavia, la Corte dei reclami penali (Crp) ha accolto il ricorso del legale di Alba Costantino Castelli riaprendo l’inchiesta, definita lacunosa, e ordinando a Pagani ulteriori approfondimenti. Da questi ultimi, oltre alle parti annerite in questione, sono emerse diverse informazioni di rilievo. Tra queste, il fatto che almeno da tre mesi prima dei fatti la demolizione era stata ipotizzata negli scambi tra autorità cittadina e Polizia cantonale. Una premeditazione che cozza con le conclusioni del pg e con le dichiarazioni raccolte durante l’inchiesta. Non è per contro noto, al momento, se anche Gobbi fosse in qualche modo al corrente anche dell’abbattimento.
Altro aspetto di rilievo emerso dai documenti desecretati riguarda l’ingente numero di agenti impiegati durante quelle quasi ventiquattro ore – tra corteo pacifico nel pomeriggio, occupazione dell’ex stabile Vanoni in serata, sgombero prima e demolizione poi durante la notte dell’ex Macello –: circa trecento, tra Polcantonale, Polcom cittadina e decine di rinforzi romandi. Dalle carte, infine, spuntano anche delle strategie che la polizia avrebbe dovuto adottare in caso di resistenza allo sgombero. Colpisce una su tutte: si sarebbe dovuto agire nei confronti degli occupanti “prendendoli per fame, non consentendo l’approvvigionamento”.