Luganese

Alla sbarra i poliziotti accusati di aver picchiato un ambulante

I due agenti sono sospettati di aver malmenato un venditore di rose nell'agosto del 2015. Si va a processo dopo due decreti di abbandono respinti dal Tf

Un’inchiesta complicata
(Ti-Press)
11 ottobre 2023
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A distanza di otto anni dai fatti, approda nell’aula della Pretura penale il caso dei due agenti, accusati di aver malmenato un venditore di rose il 1° agosto del 2015, quando erano in servizio alla Polizia della Città di Lugano. Un’inchiesta travagliata, passata di mano a tre procuratori, due dei quali avevano firmato un decreto d’abbandono. Si giunge al processo che si tiene oggi a Bellinzona, davanti al giudice Simone Quattropani, dopo le sentenza del Tribunale federale. A sostenere le accuse ci sarà il procuratore generale Andrea Pagani, gli avvocati difensori sono Luca Gandolfi e Maria Galliani. Le imputazioni a carico dei due agenti sono abuso di autorità e lesioni semplici.

Facciamo un passo indietro

Tutto inizia, come detto, la mattina del 1° agosto di otto anni fa, quando, secondo l’accusa, i due agenti avrebbero fermato e portato il centrale il giovane venditore di rose. Qui sarebbe stato malmenato, dopo essere stato costretto a spogliarsi, uscendone con un timpano perforato. Come se non bastasse, gli agenti avrebbero gli avrebbero anche sottratto 140 euro, proventi della notte appena trascorsa a vendere i fiori. Il caso verrà portato alla cronaca dalla denuncia dello Csoa il Molino, che rese nota la denuncia contro ignoti, dato che la presunta vittima non fu in grado di identificare i suoi aggressori. L’inchiesta si blocca fino al dicembre del 2016, quando il venditore ambulante riconosce uno dei due poliziotti in un servizio televisivo. Risulterà che l’agente in questione si trovava effettivamente in centrale quel giorno, nonostante in un primo momento il Comando di polizia avesse affermato che quella mattina non vi fosse nessuno.

Bocciato il primo decreto d’abbandono

Dopo poco tempo, l’allora procuratore generale John Noseda emetterà il decreto d’abbandono, che verrà però annullato nel settembre 2017 dalla Corte cantonale dei reclami penali, dopo il ricorso dell’avvocato Nadir Guglielmoni, difensore del giovane pachistano. Tra le ragioni della Corte, v’era anche il mancato interrogatorio di tutte le parti coinvolte, compito che verrà svolto una volta riaperta l’inchiesta. Oltre all’accusatore, verrà in un primo momento interpellato solo uno degli agenti, che negherà l’accaduto. Versione confermata in seguito anche dal collega. Uno degli agenti in questione è lo stesso condannato nel 2019, per aver lasciato guidare la vettura della polizia alla sua compagnia poco più che sedicenne. In difesa dei due poliziotti interverrà anche il Municipio di Lugano, con uno scritto firmato dall’allora sindaco Marco Borradori, che taccerà l’accusatore di bugie e diffamazioni.

Alibi imperfetti

Nel corso dell’inchiesta sono emersi diversi elementi, che compromettono le versioni fornite dagli agenti. In primis, la documentazione del tracciamento fornita dalla polizia, inizia alle 8.30 del mattino anziché alle 7 come richiesto, e questo nonostante il primo agente fosse in servizio dalle 4. I due imputati dichiararono inoltre di non essersi recati in stazione (luogo del fermo) quel giorno, mentre la geolocalizzazione della vettura dimostra questa si trovava nei paraggi intorno alle 8.30. La documentazione del tracciamento a partire dalle 7 del mattino non verrà mai fornita, malgrado sia stata richiesta più volte, e viene infine dichiarata persa a causa del cambiamento del sistema informatico. Ciononostante, l’allora procuratore pubblico incaricato dell’inchiesta, Antonio Perugini, firmò il secondo decreto d’abbandono per insufficienza di prove, dato che la presunta vittima aveva dichiarato che il pestaggio fosse avvenuto alle 9 del mattino.

Emerge un altro elemento

Il decreto viene nuovamente respinto dal Tribunale federale, perché ritenuto plausibile che i fatti fossero avvenuti mezz’ora prima dell’orario indicato dall’accusatore. Nel 2020 emerge un nuovo elemento potenzialmente probatorio: l’ufficio cambi della stazione di Lugano aveva registrato, alle 7.49 di quel fatidico giorno, un cambio in franchi di 140 euro, pari alla cifra che sarebbe stata sottratta al venditore di rose.

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