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SpazioAdo, ‘un cantiere aperto’ da vent’anni

Ragazze, ragazzi ed educatori raccontano il percorso al centro educativo. ‘L’obiettivo è far accendere una scintilla e renderli autonomi’.

Ragazze, ragazzi ed educatori raccontano il percorso al centro educativo. ‘L’obiettivo è far accendere una scintilla e renderli autonomi’.

12 ottobre 2022
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La prima cosa che si prova appena entrati è una sensazione di… diverso. Un’oasi di colori, sparsi in un luogo ampio dal soffitto alto. È lo SpazioAdo, un centro educativo diurno per minorenni che stanno passando un momento di difficoltà e che sorge all’interno degli spazi di una vecchia fabbrica di Toblerone. Fa parte della Fondazione Amilcare, che gestisce diversi Cem, ovvero Centri educativi per minorenni.

A settembre SpazioAdo ha compiuto vent’anni. Un traguardo importante, che non ha però la presunzione di essere un punto d’arrivo. «È un cantiere aperto», ci spiega Andrea Sala, educatore che ha visto nascere il centro. «La costruzione non è mai definitiva, sia per quanto riguarda la struttura, l’organizzazione, sia per ogni percorso che intraprendiamo con i ragazzi e le ragazze che vengono qui». Possono essere accolti nove giovani alla volta, di un’età compresa tra i 15 anni e un massimo di 20. Da quando esiste, a frequentarlo sono stati circa in centoventi.

‘Mi sono sentito valorizzato’

«Ad aiutare molto è avere qualcuno che ti sostiene, ti valorizza, ti dà qualcosa da fare, ti affida un ruolo, anche solo occuparsi di apparecchiare tavola», ci racconta Luca*, che ha frequentato il centro diurno alcuni anni fa. «Per me l’essenza di SpazioAdo era proprio il nome: il nostro spazio, il mio spazio». Ora Luca ha 35 anni, ma quando era adolescente ha passato un periodo difficile, dove già solo riuscire a presentarsi in Via Besso era un traguardo: «Quando l’ho conosciuto era come una pila scarica, con poca vitalità», racconta Andrea Sala. «All’inizio ero totalmente scombussolato – spiega Luca –. Stavo sveglio fino all’alba e ritrovare un ritmo circadiano corretto era il primo obiettivo». Poi a un certo punto il ‘click’. «Un giorno ricordo che sei entrato in cucina e hai detto: ‘Che cosa facciamo?’ e ti sei fatto promotore di un’attività», rammenta Andrea Sala. Quello che gli educatori chiamano ‘click’ non avviene sempre o magari arriva anche dopo anni. «Vediamo il potenziale dei ragazzi, ma a volte resta inespresso mentre sono qui. Questo può essere frustrante», ammette Lara Müller, educatrice e responsabile di SpazioAdo.

‘Cerchiamo di sbrogliare le matasse’

Grazie alle varie attività si cerca di creare un legame coi ragazzi: «Non è un percorso tecnico, dove andiamo a regolare le ‘manopole’ e poi le cose funzionano. È un cammino relazionale, legato al vissuto emotivo e alla ricerca delle risorse interne per stare bene», precisa Gian Paolo Conelli, direttore della Fondazione Amilcare. «È un percorso educativo tenuto da persone che innanzitutto si pongono come per cercare di ‘sbrogliare le matasse’», dice Conelli. «Si sta a fianco di ragazzi che vivono situazioni estremamente difficili, che ci ricordano che la vita non è solo ‘trova un lavoro e vai avanti’, ma che i ragazzi vanno sostenuti in momenti che possono essere estremamente dolorosi in cui spesso si trovano completamente soli. Non possono essere semplicemente messi in un ‘cassetto’, troveranno sempre un modo per saltar fuori e dire: ‘Io ci sono, non sto bene, ho bisogno d’ascolto’ ».

Certo, non sempre l’utilità dei vari atelier viene compresa dai ragazzi: «Quello d’arte non mi piace, lo trovo piuttosto noioso. Onestamente… i lavoretti li facevo quando ero piccola», dice Moira*, che frequenta il centro da alcuni mesi. «In generale non sempre ho voglia di venire, ma in fondo mi piace e vedo che qualcosa in me sta cambiando – continua –. Prima non mi arrabbiavo mai, ora ho imparato a farmi sentire».

Un lavoro di fiducia

«Bisogna essere capaci di lavorare con loro anche in assenza di una motivazione – afferma Conelli –. Magari inizialmente un ragazzo comincia a venire solo a pranzo o un giorno alla settimana e in questi spazi si prova a creare un rapporto di fiducia. Il tutto con l’obiettivo di far accendere una scintilla, di stimolare i loro interessi e soprattutto di renderli autonomi. Si tratta di piccole cose che creano quei cambiamenti che modificano la loro visione di quello che hanno intorno». Ogni storia è diversa e per questo viene messo l’accento su un lavoro individuale: «Si costruisce un progetto personale con degli obiettivi, che sono legati a varie sfere: piccoli passi per un miglior stato emotivo, relazionale, di salute, professionale», spiega Lara Müller. «Bisogna essere in grado di stare accanto a loro seguendo tempistiche che non siamo noi a pilotare», aggiunge Conelli.

Tutto questo aiuto, pieno di comprensione, non potrebbe portare a una dipendenza? «C’è un periodo della crescita dove è giustissimo avere dei modelli di riferimento, possibilmente solidi e coerenti – dice Andrea Sala –. Noi cerchiamo anche di renderli coscienti delle loro capacità e aiutarli a essere autonomi per la loro vita». E la flessibilità, il poter frequentare anche non a tempo pieno, può portare dei giovani ad approfittarsene? «Fa parte del ruolo dell’educatore capire questo, se ‘ci giocano dentro’ – risponde Conelli –. Ma se non viene fatto questo lavoro di fiducia, assumendosi il rischio che possano prenderti in giro, chi lo fa? Abbiamo lavorato per costruire un’impalcatura che ci permettesse di saltar fuori dalla stessa. Abbiamo orari, ma accettiamo che i ragazzi vengano un’ora a settimana per cominciare. C’è chi ci chiede dove sia la coerenza. La coerenza sta nel fatto di uscire dalla nostra zona di comfort per andare verso la situazione del ragazzo, accoglierlo e da lì portarlo pian piano verso qualcos’altro».

‘Alcuni ragazzi erano un po’ ansiosi a non avere un programma settimanale’

L’ambiente a SpazioAdo è molto familiare ed è composto da varie zone adibite a diverse attività. «Abbiamo un programma che viene seguito da settembre a fine giugno, mentre d’estate facciamo più attività esterne», dice Lara Müller. Ci sono quelle manuali, l’atelier di musica, quello video, il momento cinema, quello di lettura e lo spazio parola, come pure delle lezioni di alcune materie scolastiche. «Ogni momento è animato da un educatore o da un collaboratore e c’è sempre una persona pronta ad accogliere i ragazzi e le ragazze se si trovano in un momento di crisi», indica Conelli. «Il programma è fatto per dare una struttura alla settimana e al tempo che scorre». Quando SpazioAdo è nato, l’organizzazione delle giornate era più libera, ma il tutto «era troppo caotico», spiega Andrea Sala. «Alcuni ragazzi erano anche un po’ ansiosi a non avere una struttura», gli fa eco Lara Müller. A destabilizzare a volte può essere anche il continuo cambiamento nella formazione del gruppo, con alcuni che vanno e altri che vengono. «Magari si instaurano delle belle relazioni e la partenza di una o più persone allo stesso tempo viene vissuta male. Ci vuole sempre un periodo di riassestamento», dice Müller. Anche gli arrivi possono scombussolare: «È un po’ difficile adattarsi alle nuove persone che arrivano», ammette Giada*, che frequenta il centro diurno da quasi due anni. A volte anche spiegare ad amici e persone esterne cosa sia SpazioAdo è difficile: «Io dico che è una specie di scuola e se mi chiedono qualcosa in più dico che è complicato», dice Valeria*, che è tornata a SpazioAdo quest’anno.

‘È più presente una sofferenza psicosociale’

In 20 anni di SpazioAdo gli educatori hanno notato molti cambiamenti tra i ragazzi. «Sembra che ora siano più invischiati una sofferenza di tipo psicosociale», dice Conelli. «C’è una problematica che sta dilagando e non si tratta di un disagio prettamente giovanile, perché il loro malessere è il malessere della nostra società. Di SpazioAdo ce ne dovrebbero essere di più in Ticino, perché il rischio è quello di psichiatrizzare situazioni quando servirebbero piuttosto luoghi dove si crea relazione, accoglienza, ascolto. I vari settori dovrebbero parlarsi maggiormente, non si può più lavorare a compartimenti stagni».

‘Manca un senso di conquista’

«Secondo me molto è legato alla mancanza di un senso di conquista», aggiunge Müller. «Sembra che abbiano maggiore difficoltà a impegnarsi per ottenere qualcosa che desiderano. Una volta, per esempio, hanno proposto di andare ai go kart. Visto il costo dell’attività, abbiamo posto come condizione che dessero un contributo facendo dei piccoli lavori. Hanno rinunciato», racconta l’educatrice. «Quindi c’è questo aspetto un po’ depressivo. Quando facciamo pittura capita spesso che comincino un nuovo disegno nonostante non abbiano terminato quello precedente, perché non sono contenti di come sta venendo. Noi cerchiamo invece di farglielo finire e la maggior parte delle volte sono comunque soddisfatti quando riescono a terminarlo», riporta l’educatrice. «Le varie attività permettono di scoprire degli interessi o delle qualità che non sanno di avere. Inoltre si cerca di allenare la costanza, che è importante per affrontare il mondo del lavoro». A livello generale «forse la questione è più filosofica», dice Conelli. «Stiamo costruendo una società del consumo, basata sul sistema della ricompensa immediata, della dopamina. Per i ragazzi può essere difficile investire energie in un futuro che manca di senso».

Anche a livello relazionale è cambiato il contesto: «È caduto il modello verticale dell’autorità, senza che se ne sia costruito uno alternativo», spiega Conelli. «I ragazzi spesso ci trattano come pari», gli fa eco Andrea Sala. «Questo rende difficile differenziare i contesti. Faticano a capire che a un datore di lavoro non è opportuno parlare nello stesso modo in cui si parla a un amico», aggiunge Lara Müller.

Consulenti familiari: ‘Un ponte comunicativo’

In situazioni di sofferenza, di difficoltà, spesso a essere incrinati sono anche i rapporti con la famiglia, intesa come genitori o persone di riferimento. Per questo motivo nella Fondazione Amilcare sono presenti i consulenti familiari, figure complementari che fanno parte dell’équipe educativa. «È un sostegno alla famiglia, alla genitorialità, questo per prevenire una rottura tra ragazzi e persone di riferimento, come pure per riparare alcune situazioni», ci spiega Valentina Bosco, consulente familiare di SpazioAdo. «Siamo un ponte comunicativo. Cerchiamo di favorire delle buone relazioni, capire i vissuti delle varie parti e mediare». Un intervento che generalmente viene apprezzato: «Spesso i ragazzi e le ragazze sono sollevati dal fatto che chi sia uno spazio dedicato ai genitori, che c’è qualcuno che si ‘occupi’ di loro. Anche questi ultimi si sentono sgravati, hanno qualcuno con cui confrontarsi».

Le situazioni di ogni giovane e di ogni famiglia sono diverse, ma «al di là di queste difficoltà legate al contesto di vita e di crescita, una volta messi in una situazione diversa i ragazzi mostrano di avere anche grandi risorse nel portare avanti il loro percorso di vita», conclude Conelli.

*nome di fantasia