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Il Covid e quella fame d’aria che non si combatte coi muscoli

La testimonianza di un istruttore di Crossfit a Lugano colpito dal coronavirus. Il respiro si accorcia e monta la paura. La medicina: ‘Ma il recupero è buono’

Il coach Giovanni Bruni (Ti-Press)
20 novembre 2020
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«Un giorno stai bene, il giorno dopo sei convinto di esserlo e invece... capisci subito che nel tuo corpo c'è qualcosa che non va». Giovanni Bruni, trent'anni, coach di CrossFit a Lugano, ha muscoli e cervello per capire che il Covid-19 «non è una semplice influenza». Colpito recentemente dal virus, che lo ha messo letteralmente ko, ha avvertito come anche una persona, allenata e consapevole del proprio benessere, possa improvvisamente ritrovarsi a letto, esausto e intimorito. In poche ore Giovanni è, infatti, passato dagli impegnativi esercizi aerobici in palestra all'isolamento nella propria casa. Lui, per il quale «la cardio è sempre stata alla base» e che nel corso delle sue esperienze professionali ha sempre scelto «lavori fisicamente duri e impegnativi», ha percepito immediatamente 'quei sintomi' come qualcosa di veramente insidioso.   

«Sono sintomi proprio diversi. Ti accorgi che non è una normale influenza perché ti manca il fiato, ma non come quando hai un raffreddore. Realizzi che la tua capacità polmonare è dimezzata. E se non sei abituato a gestire il respiro, come chi fa sport, ovvero respirare con il naso per abbassare il battito, diventa più difficile, puoi andare in affanno, ti viene un po' d'ansia. Per questo sono convinto che praticare attività sportiva, in questa esperienza, mi ha aiutato, sei più pronto, più abituato a gestire una tale situazione». Giovanni, tornato nel box di Pregassona, con minimi strascichi, oggi sembra sereno, ma quell'ombra pare non del tutto dissolta: «Sono sintomi veramente strani, perdi ogni capacità sensoriale, come il non sentire più il gusto e l'olfatto. Ancora adesso ho questa mancanza, l'ho notato stamattina bevendo il caffè. Se il giorno prima che la malattia si palesasse respiravo benissimo, poi ti accorgi da un momento all'altro che l'aria non entra più. È come passare da tre litri d'aria a uno... è una sensazione davvero strana. Non come quando vai a correre e ti manca il fiato, è tutta un'altra cosa. Anche far la doccia, girandoti la testa, può essere un'impresa, e ti chiedi il perché...».

Curare il respiro per contrastare il panico

Giovanni, fortunatamente, ha attutito il colpo: «Sono riuscito a stare tranquillo, evitando contraccolpi psicologici, però immagino una persona che non è abituata con l'allenamento a gestire questa crisi d'aria e dunque non propriamente pronta. C'è poi il contesto della perdita di equilibrio, ti senti come scendere da una barca dopo aver navigato per ore, tutto comincia a girare. E anche qui o riesci a stare calmo o puoi arrivare anche a perdere i sensi. Non posso dire che sia stata una passeggiata. Ammetto che anche per me mentalmente è stata dura, soprattutto per la quarantena, abituato infatti a stare fuori di casa tutto il giorno, per il lavoro ma anche nel tempo libero».

C'è allora un consiglio? «Senz'altro bisogna evitare di farsi prendere dal panico. Consiglio di gestire il respiro così da tranquillizzarsi, anche perché alla fine non puoi fare tanto... Non sai in effetti come la malattia può evolvere. Nel mio caso pensavo anche alla pleuropolmonite che ho avuto da piccolo, così non puoi sapere come il virus ti colpisce e un po' di paura la prendi. Piano piano capisci che ce la fai, ma non è davvero, credetemi, una bella sensazione... Devo ammettere che pensavo di averlo già preso. Lavorando a fianco fianco di tante persone credevo di essere un asintomatico. A questa malattia non davo tanta importanza anche se ho sempre seguito le elementari regole anticontagio d'igiene. Però... non puoi capire com'è fino a quando non la prendi... e quando la prendi, ripeto, capisci davvero che non è un'influenza normale. Peraltro sono stato fortunato perché l'ho vissuta in forma leggera e ho potuto in breve tempo tornare ad allenarmi».

Cosa dice la scienza

La dispnea e le sue criticità

Il Covid-19 ha portato in dote, dunque, una pesante difficoltà respiratoria. Di dispnea e delle sue criticità abbiamo così voluto parlarne con il dottor Pietro Gianella, caposervizio di Pneumologia all'Ospedale regionale di Lugano: «La dispnea o respirazione difficoltosa è una sensazione soggettiva molto complessa, come il dolore. Se un paziente dice che fa fatica a respirare bisogna credergli. La dispnea viene da tre aspetti: da un polmone malato, da un problema cardiaco e dalla forma fisica, dall'allenamento. Interessante è dunque vedere come il Covid-19 tocca senz'altro due di questi tre aspetti, vale a dire, mette fuori forma la gente, perché la stende a letto anche per diverse settimane (dunque anche i più sportivi possono avvertire questa sensazione nel post malattia), e, quale secondo aspetto, il danno polmonare, in particolare nel Covid-19 moderato o grave. Però anche il Covid-19 lieve, che si può curare cioè a casa, può lasciare un segno e vi sono pazienti che lo avvertono, proprio con la difficoltà nell'assimilare l'ossigeno».


Il dottor Pietro Gianella

Pochi i dati, essendo la malattia recente, ma uno studio – come ci conferma il dottor Gianella – è già in dirittura d'arrivo: «Abbiamo seguito circa cinquanta pazienti che hanno fatto un Covid-19 moderato o grave. Li abbiamo visitati dopo tre mesi e abbiamo visto che metà di loro hanno effettivamente subito una riduzione della capacità di diffusione dell'ossigeno. Questo fenomeno sebbene in minor misura è probabilmente presente anche in chi la malattia si è manifestata in modo meno grave». Quanto dunque importante è anche l'aspetto psicologico? «Essendo, come ho detto, una sensazione soggettiva si può cercare di ridurla, si può fare in modo che il proprio corpo segnali sì che manca ossigeno però non eccessivamente in modo tale da non esserne disturbati, un po' come nel dolore cronico». Non tutte le persone la avvertono quindi allo stesso modo? «L'assenza d'aria è in generale di per sé ansiogena, essendo una risorsa di cui abbiamo bisogno istantaneamente. Però è vero che se si riesce a far capire alla nostra mente che è una cosa costante e stabile, che non peggiorerà, avvertiremo meno questa sensazione di mancanza d'aria. E come si fa a farglielo capire? È proprio attraverso l'allenamento, perché quando l'organismo capisce che è in grado di fare attività fisica, malgrado la sensazione di dispnea, allora acquisisce "sicurezza" e invia meno frequentemente questo segnale. Dunque, soprattutto una volta che la malattia è passata, invito a 'muoversi, a non sedersi, a continua ad allenarsi', magari un po' meno ma è necessario persistere in questo sforzo alzando così piano piano la soglia di dispnea e abbassando la sensazione spiacevole di questo sintomo».

E il futuro di questi pazienti, poi ex? «Al momento abbiamo pochi dati essendo la prima ondata solo di qualche mese fa. Ma se andiamo a vedere altri virus del passato, come per esempio il Mers Coronavirus del 2003, si è visto che i pazienti recuperano tanto durante il primo anno. E nella maggior parte dei casi il recupero è molto buono. Per questo mi sento di dire che per i malati di Covid-19, soprattutto una persona giovane che lo ha fatto in forma lieve, il messaggio è senz'altro positivo e che torneranno come prima, sempre che ci si mantenga allenati secondo le proprie capacità. Se il paziente è un malato respiratorio cronico, avverte difficoltà respiratoria nelle attività quotidiane anche dopo due mesi dal principio della malattia o pratica sport a livello agonistico vale la pena orientarsi verso una visita di controllo pneumologica da organizzarsi con l’accordo del medico di famiglia». 

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