L'imputato è stato condannato a due anni sospesi per truffa e appropriazione indebita. Il giudice: 'Caso eccezionale, non faccia giurisprudenza'

«Situazioni del genere, estremamente eccezionali, siano trattate in maniera diversa dal Ministero Pubblico. L'auspicio è che non faccia giurisprudenza, ma piuttosto che imponga riflessioni affinché ciò non si ripeta». Il giudice Mauro Ermani ha voluto sottolinearlo: il processo per reati finanziari svoltosi stamattina alle Assise correzionali di Lugano nella formula del rito abbreviato, deve restare una mosca bianca. Alla sbarra è finito un 48enne italo-svizzero, accusato di truffa e appropriazione indebita e per questi reati già condannato in Italia, dove risiede. Gli importi del caso sono molto significativi: circa quaranta i milioni di euro malversati, dei quali poco meno di trentaquattro sono un buco effettivo. Eppure, è stato condannato a una pena sospesa condizionalmente di due anni. Capiamo il perché.
I fatti risalgono a circa quindici anni fa. Tra il luglio del 2004 e l'aprile del 2006 – quando fu arrestato in Italia –, l'uomo sfruttò la sua posizione di titolare di una società finanziaria con sede giuridica a Lugano, per per occultare i beni finanziari di oltre quattrocento investitori. Venivano loro proposte delle operazioni finanziarie, degli investimenti, che sarebbero dovute essere svolte da questa società in Svizzera. «Era il classico specchietto per le allodole – la valutazione del procuratore generale sostituto Andrea Maria Balerna –, si trattava in realtà di un'illecita attività di raccolta di denaro, operata da un consorzio di persone. Erano tutti italiani (eccetto l'imputato, ndr), come lo erano pure i clienti gabbati».
Le indagini, fra intercettazioni e pedinamenti, erano iniziate proprio in Italia nel 2005 e hanno portato a diversi arresti, fra i quali nell'anno successivo anche a quello del 48enne. Sebbene le transazioni siano avvenute principalmente in Italia verso Paesi terzi (Principato di Monaco, Lussemburgo, Regno Unito, Spagna, ndr), a Lugano vi era la sede della società: «Uffici e documentazione erano qui». Fu così aperto nel 2006 un incarto anche in Ticino, «ma si è scelto di aspettare l'esito del procedimento italiano per concludere l'inchiesta elvetica», ha spiegato Balerna.
E l'iter processuale in Italia è stato decisamente lungo: oltre settanta udienze in otto anni di processi. Diversi complici, che avevano il compito di trovare i clienti e segnalarli all'imputato che era al vertice della piramide, sono stati arrestati. Dopo una condanna a otto anni in primo grado a Belluno (Veneto), in Appello questa è stata ridotta a tre anni e mezzo. Infine, nel 2017 la Corte di cassazione ha prosciolto l'imputato, in quanto i reati erano ormai prescritti. «L'unica possibilità affinché le vittime avessero un po' di giustizia, era arrivare a una condanna in Svizzera», secondo il procuratore.
Per arrivare in aula, il pgs è dovuto recarsi a Milano, dov'è riuscito a motivare l'imputato a collaborare proponendogli la formula di rito abbreviato e una pena sospesa, con la consapevolezza che dal 1° luglio parte dei reati sarebbe stata prescritta anche nel nostro Paese. Diversi gli elementi che hanno portato Balerna a propendere per una pena sospesa: il fatto che il fulcro dell'attività criminale non fosse in Svizzera e che da qui non sia transitato molto denaro (circa un milione), il fatto che l'uomo fosse incensurato prima dei fatti, che l'iter giudiziario sia stato molto lungo con «palese violazione del principio di celerità» e che la carcerazione patita (diciotto mesi, più sei di arresti domiciliari) sia stata particolarmente dura, in quanto l'uomo ha significativi problemi di salute. Infine – oltre al fatto che non ci sono prove che il 48enne abbia tesaurizzato del denaro –, si è detto disponibile a rimborsare nel limite delle sue possibilità le vittime.
«A fronte di malversazioni di questa portata è giusto interrogarsi fino in fondo per capire se la pena (giudicata estremamente mite, ndr) è giusta» ha premesso il giudice, prima di svelare la sentenza. Pur ammettendo che «da un punto di vista oggettivo il rito abbreviato non potrebbe essere approvato», Ermani l'ha alla fine accolto. Per evitare l'imminente prescrizione, oltre che perché – date le cattive condizioni di salute dell'imputato –, «difficilmente avrebbe sofferto una nuova privazione della libertà». E un rimprovero infine non è mancato al Ministero pubblico: «Appare inspiegabile il tergiversare in attesa degli esiti del processo italiano, non si sarebbe dovuto attendere».