Luganese

‘La santità nasce per strada’

Lugano: Maria Casal, 90 anni, prima numeraria svizzera, ci racconta la sua vocazione

Maria Casal (Ti-Press)
13 maggio 2019
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Sono due i ‘miracoli’ che Maria Casal ha saputo trasformare in ‘normalità’: una lunga e attiva vita (lo scorso 22 febbraio ha compiuto 90 anni invidiabili) e la ricerca della santità nella realtà personale di tutti i giorni. Nata in un paese vicino a Siviglia, da genitori elvetici, è stata la prima svizzera a diventare numeraria dell’Opus Dei.

«La mia famiglia era protestante – inizia il suo racconto in un salottino del Centro culturale Alzavola di Lugano, dove vive – erano, come si diceva allora, ‘gli eterni svizzeri all’estero’ perché mamma e papà erano entrambi nati e cresciuti a Firenze, seppur tutti i miei quattro nonni fossero svizzeri». In Spagna frequenta la scuola tedesca e impara la lingua. È testimone della guerra civile prima e del secondo conflitto mondiale poi: «Il clima nazista del periodo portò la mia famiglia e tutti gli altri genitori della numerosa colonia svizzera a rinunciare alla scuola tedesca e iscrivere i figli in quella francese». L’esperienza delle due guerre porta piano piano Maria a voler impegnarsi in ‘qualcosa’ a favore dell’umanità: «Se tu hai vissuto due tragedie più o meno da vicino pensi in modo diverso da chi non ne ha mai avuta esperienza. A tredici anni ho pensato perciò di fare l’infermiera. Un mio professore mi consigliò poi di studiare medicina». Alla sua Confermazione protestante riceve, come è d’abitudine, un versetto della Bibbia che si trasforma in una vera e propria folgorazione: «A me toccò la frase di san Giovanni ‘Io sono il Cammino, la Verità e la Vita’ e cominciai a chiedermi come mai i protestanti credevano in modo diverso quando la verità può essere soltanto una: un discorso che era prima di tutto assolutamente logico prima che religioso».

Una caratteristica? La disponibilità

È da un’amica che sente per la prima volta pronunciare la parola Opus Dei. Un nome che ritorna durante l’università, nelle lunghe notti di praticantato all’ospedale, quando fra compagni di corso si discuteva di dolore e quindi anche di religione: «Rimasi affascinata tanto da decidere di diventare numeraria, vivendo cioè il celibato apostolico. Ma non ero ancora cattolica, così scrissi al fondatore [san Josemaría Escrivá de Balaguer, ndr]». Il 22 agosto 1950 ricevette i Sacramenti e in autunno iniziò a far parte della Prelatura: «Pur laica la mia è una vocazione. Noi non dobbiamo pronunciare dei voti, come i religiosi. La rinuncia al matrimonio nella Chiesa non è mai qualcosa di negativo, dato che si rinuncia a qualcosa di buono e santo per amore di Dio. La caratteristica fondamentale che ci è richiesta è la disponibilità. Pur scegliendo la professione che desideriamo, io appunto quella di medico, siamo chiamate a volte a rinunciarvi per dedicare il nostro tempo ad altri compiti necessari all’interno dell’Opera. Le numerarie in genere vivono nei centri dell’Opera dove vengono organizzate per le signore attività di formazione di tipo spirituale e culturale. Inoltre c’è il ‘Club’ rivolto a bambine e adolescenti fra gli 8 e i 14-15 anni, dove vengono proposte diverse attività ricreative e catechismo». Prima numeraria di nazionalità elvetica, nell’aprile 1965 dalla Spagna approda in Svizzera. Prima a Zurigo, fino al 2012, poi in Ticino. «Principalmente – ci spiega Maria Casal – mi occupo di formazione per le signore: dunque aiutare le persone che frequentano il centro ad approfondire le loro conoscenze dottrinali e umane. Poi ci sono tutti gli incontri che cadono circa una volta al mese e che toccano argomenti a più ampio spettro e che non hanno a che vedere direttamente con la fede, ma sono comunque interessanti e formativi. Una casa la nostra frequentata da molte donne impegnate nei diversi ambiti professionali, dalla casalinga al medico, dalla commessa all’impiegata. Se è necessario, faccio anche traduzioni, e siccome mi piace moltissimo leggere ho anche un blog dove recensisco i libri che leggo (Lies mit mir.blogspot.com).

Quelle perplessità nate sull’Opera: ‘Incomprensibile l’essere santi e laici’

L’Opus Dei qualche volta è stato associato a movimenti ‘carbonari’, segreti, poco propensi ad aprirsi alla società. Eppure il suo messaggio è proprio il contrario. Il nome “Opus Dei” (Opera di Dio) fu scelto, infatti, dal fondatore perché sintetizzava il concetto di santificazione del lavoro e al contempo chiariva che il lavoro dovesse essere offerto “a maggior gloria di Dio”: un principio poi fatto proprio dal Concilio Vaticano II e sintetizzato con l’espressione ‘vocazione universale alla santità’. Fu chiaro a san Josemaría Escrivá, fin dall’inizio, che i membri dell’Opus Dei “non agiscono in gruppo ma individualmente, con libertà e responsabilità personali”. L’Opus Dei non è quindi un’organizzazione chiusa. I fedeli, proprio perché devono santificarsi nel mondo, collaborano sempre con tutte le persone con cui sono in contatto attraverso il lavoro e la partecipazione alla vita civile. «Il fatto di considerare l’Opera una sorta di loggia – risponde ai nostri interrogativi Maria Casal – è stata una tendenza soprattutto agli albori in Spagna, quando si cominciò ad avere molte vocazioni fra i giovani. A quei tempi sembrava incomprensibile che qualcuno, che non fosse un religioso, ovvero un prete o una monaca, si potesse santificare con il lavoro ordinario, da laico appunto». Un messaggio, quello che insegna che ciascun uomo e donna può essere santo nella quotidianità, riportato dallo stesso Cattolicesimo: «Eppure la gente faceva fatica a comprenderlo e a riscoprirlo, era come se non l’avesse mai saputo! – riporta quelle perplessità iniziali Maria –. Dicevano che era sbagliato affermare che il laico poteva essere santo. Chiedevano che si indossasse un abito preposto; noi spiegavamo che non ce n’era bisogno perché eravamo laici come tutti gli altri. Pretendevano che non ci truccassimo, non ci capivano... Era come se, rimanendo uomini e donne ‘comuni’, dunque laici, non religiosi, nascondessimo qualche segreto di una cosa che non era assolutamente segreta! E questo ha creato attorno all’Opera una sorta di diffidenza iniziale, non giustificata».

La vicinanza della Diocesi

Oggi, invece, il riconoscimento è mutato considerevolmente. Lo attestano anche i rapporti in essere con la Chiesa ticinese: «Buoni – ci risponde Maria Casal –. Il vescovo Valerio più volte è venuto da noi. E, anzi, lo vorremmo più spesso anche per approfondire le sue bellissime lettere pastorali, ma la Diocesi è grande e gli impegni sono molti».

Donne e uomini, e la necessità di un approccio ‘diverso’

L’attività del Centro culturale Alzavola di Lugano, a due passi dall’Università della Svizzera italiana in via Giuseppe Curti 11, è dedicata “all’altra metà del cielo”. Il centro è affidato a sei numerarie, fra cui Maria Casal, la decana: «Ci sono poi le sopranumerarie, molto più numerose, la maggioranza sposate, con famiglia dunque e con figli e che, quindi, non possono investire tutto il loro tempo nelle attività dell’Opera» puntualizza la nostra interlocutrice.

Perché però, nel terzo millennio, ancora questa suddivisione di genere, ovvero una struttura per le donne e una per gli uomini? «Perché, fa parte del carisma fondazionale dell’Opera – non manca di renderci attenti Maria Casal –. Ciò non significa che non abbiamo anche momenti in comune come alcune conferenze culturali, feste e celebrazioni ecc. Non si tratta, dunque, di un’organizzazione limitata a persone o a messaggi; lo sguardo, dalla persona (uomo o donna che sia), si allarga a tutta la comunità e società in genere». Un discorso che abbraccia tutti: «Il nostro apostolato è ‘per strada’, a fianco delle persone che si incontrano abitualmente nel lavoro e nelle comuni relazioni sociali. Vogliamo parlare con la gente, portarla a Dio, perché altrimenti che scopo avrebbe tutto questo?».

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