Dopo l'intimazione di smettere scuola e lavoro da parte dell'Ufficio della migrazione, 24 deputati di tutti gli schieramenti scrivono al governo

“Fare i passi necessari presso l’Ufficio della migrazione cantonale e presso la Segreteria di Stato alla migrazione affinché sia concessa a Zelal e Yekta Pokerce la facoltà di continuare la propria formazione scolastica e professionale e di concluderla. L’interruzione di questo percorso rappresenterebbe un nuovo trauma per ragazzi che hanno vissuto un’odissea umana e psicologica e che hanno tentato in ogni modo di essere parte della comunità”.
È la richiesta formulata da tutte le correnti partitiche presenti in Gran Consiglio all'indirizzo del Consiglio di Stato (unica eccezione è il Partito comunista).
La lettera è una reazione immediata – importante e da sottolineare – della politica cantonale alle ultime novità riguardanti l'incredibile vicenda dei due giovani di Riazzino, nuovamente e improvvisamente tornata alla ribalta delle cronache grazie a un servizio apparso su “laRegione”. Il ruolo del nostro giornale viene debitamente sottolineato nella missiva parlamentare, che per rinfrescare la memoria all'esecutivo traccia un quadro familiare dei Pokerce, sottolineando la loro già lunga permanenza in Ticino (4 anni) e la capacità di integrazione ampiamente dimostrata da Zelal (la ragazza di 21 anni) e dal fratello Yekta (20 anni): “Zelal sta frequentando la Scuola specializzata superiore d’arte applicata del Centro scolastico per le industrie artistiche (Csia) e Yekta la formazione di elettricista. Dopo una serie di vicissitudini, con la decisione negativa sulla richiesta di asilo da parte della Segreteria di Stato alla migrazione (Sem) e del Tribunale amministrativo federale (Taf), nei giorni scorsi la scuola che frequenta Zelal e il datore di lavoro di Yekta hanno ricevuto una raccomandata con le quali viene intimato a Zelal di smettere “con effetto immediato” di studiare e a Yekta di smettere di lavorare. Le lettere sono firmate dall’Ufficio della migrazione di Bellinzona, Sezione della popolazione, Servizio asilo”.
Si tratta evidentemente dell'applicazione di leggi che non tengono minimamente conto delle situazioni contingenti. Infatti, sottolineando i granconsiglieri, “i due ragazzi sono perfettamente integrati nella comunità (abitano a Riazzino); il ritorno in Turchia della famiglia sarà pericoloso per il padre, Yahya, fuggito nel 2021 perché nel 2014 avrebbe condiviso su Facebook una vignetta su Erdogan ritenuta offensiva. Nel 2016 Yahya Pokerce è stato licenziato, poi nel 2021 ha ricevuto la notifica di un processo con l’accusa di “insulti al presidente”. La famiglia ha allora cercato rifugio in Svizzera”.
Il Gran Consiglio non dimentica che “oltre al padre e ai due ragazzi, vivono a Riazzino la madre e un terzo fratello di undici anni, Azad, che frequenta la scuola speciale in quanto portatore di una sindrome da spettro autistico”. E aggiunge che “in questi anni, parallelamente alle richieste di ottenere asilo respinte dalle varie autorità competenti, Sem in primis, la famiglia ha cercato di integrarsi nel paese e nella comunità. Un percorso certamente riuscito e positivo per la ragazza e il ragazzo, che frequentano con successo scuola e formazione professionale”.
Purtroppo, si legge ancora, “a nulla per ora sono valsi gli sforzi di chi si è mobilitato a loro favore (c’è una petizione con 1'706 firme), né la capacità della famiglia di integrarsi. Ora la ragazza e il ragazzo dovrebbero smettere gli studi e la formazione e restare a casa in attesa della fine della fase di ricorso prima dell’espulsione verso la Turchia”. I rischi che correrebbe il padre sono enormi, e non minori sono quelli della sua famiglia, “vista la politica condotta dal governo e dai tribunali turchi nei confronti della minoranza curda”.
Inoltre, per Zelal e Yekta “si interromperebbe un percorso di formazione che ha dato loro una luce di speranza – evidenzia la missiva –. Le autorità ritengono che le loro formazioni non rientrino nei criteri della ‘formazione di base’ che darebbero diritto a concludere il percorso anche in assenza di un permesso, come è il caso attuale per la famiglia Pokerce”.
Il caso viene dunque e a ragione ritenuto urgente dal Gran Consiglio, che al governo chiede sensibilità e per certi versi anche coraggio, schierandosi con decisione al fianco della famiglia curda.
La lettera, nata in seno al Partito socialista grazie a un'iniziativa del deputato Maurizio Canetta, ha dunque fatto presa fra i deputati di tutti gli schieramenti (salvo, come già accennato, quello comunista). I nomi dei colleghi di Canetta che figurano in calce alla missiva sono quelli di Giovanni Albertini, Maria Pia Ambrosetti, Sara Beretta Piccoli, Samantha Bourgoin, Simona Buri, Matteo Buzzi, Fiorenzo Dadò, Ivo Durisch, Danilo Forini, Tiziano Galeazzi, Daria Lepori, Cristina Maderni, Tamara Merlo, Amalia Mirante, Maura Mossi Nembrini, Maruska Ortelli, Matteo Pronzini, Laura Riget, Evaristo Roncelli, Beppe Savary Borioli, Roberta Soldati, Diana Tenconi e Nara Valsangiacomo.
Non c'è dunque destra e sinistra, in questo caso, a dividere il parlamento ticinese, ma anzi un sentimento condiviso e trasversale di partecipazione a una vicenda umana che non può lasciare insensibili. Parola ora al Consiglio di Stato, da cui finora si è alzata la sola voce della ministra socialista Marina Carobbio Guscetti, direttrice del Decs, che si era dichiarata «molto preoccupata per i due giovani» e la loro sorte.