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‘Gabbati e in buona fede, ma chiamati a pagare per altri’

Fattura di oltre 20mila franchi per Iva e dazi doganali non pagati da un fornitore: Piero Suini di Locarno in ‘una situazione grottesca’

Piero Suini (a destra) con il collaboratore Matias Paez
15 novembre 2022
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«Se avessimo voluto fare i furbi avremmo potuto utilizzare ben altri mezzi. In realtà questa accusa indiretta è un affronto e crea una situazione non solo grottesca, ma anche pericolosa per la stabilità finanziaria del negozio». In 109 anni di storia commerciale la famiglia Suini ne ha viste di ogni. Ma mai il negozio di alimentari gestito in Città Vecchia è stato confrontato con una deriva burocratica come quella attuale, che rischia di pesare sui conti per oltre 30mila franchi.

I fatti: nel 2016 Piero Suini, il suo collaboratore nella gestione degli acquisti Matias Paez e tutta la "famiglia" allargata degli impiegati storici del negozio entrano in affari con un fornitore la cui società a garanzia limitata ha sede fiscale in Vallemaggia, a Cevio. Le ordinazioni sono cospicue, così come significative sono le fatture che vengono regolarmente presentate dal titolare della ditta e prontamente saldate da Suini.

«Quest’uomo, che già conoscevamo perché precedentemente lavorava per un altro fornitore, ci aveva proposto a prezzi svizzeri dei prodotti dall’Italia ricercati sul mercato, come salumi e formaggi. Non c’era motivo di rifiutare, così è nata la collaborazione: lui proponeva i prodotti, noi facevamo una scelta, poi il fornitore arrivava con il suo bel furgone targato Ticino, emetteva regolare fattura e noi pagavamo "cash"».

Galeotto fu il furgone

Improvvisamente, nel corso del 2017, l’uomo sparisce, Suini si interroga e infine torna a rivolgersi ad altri fornitori. «Poi, un giorno del 2021, quindi quattro anni dopo, sono arrivati quelli delle Dogane, sostenendo che il famoso fornitore scomparso aveva evaso sia i dazi doganali per 20mila franchi più interessi, sia l’Iva per altri 5mila franchi – ovvero le stesse voci che noi avevamo in fattura e abbiamo sempre pagato –, contrabbandando la merce da valichi non controllati». In particolare, come riferito nei giorni scorsi su queste pagine, il raggiro riguarda un totale di quasi 31mila kg di prodotti alimentari importati illegalmente in Ticino proprio fra il 2016 e l’anno successivo, all’inizio del quale 500 kg erano stati trovati nel furgone a Ligornetto: l’uomo si era fatto aiutare dalla moglie (domiciliata in Italia) che aveva attraversato a piedi il valico di Novazzano per capire se fosse sorvegliato. Appurato che non lo era – o almeno sembrava non esserlo – aveva avvisato il marito, che con il veicolo carico di merce aveva passato indisturbato il confine per raggiungere una cella frigorifera detenuta in territorio svizzero. Stando all’Amministrazione federale delle dogane, nei mesi precedenti aveva eluso un totale di circa 280mila franchi fra tributi doganali e Iva sull’importazione.

Fra gli ignari clienti, era poi emerso, v’erano due commerci sopracenerini: uno del Bellinzonese, l’altro del Locarnese (Suini appunto). Il primo avrebbe commerciato 257 kg di merce, il secondo oltre 4mila fra prosciutto, bresaola, coppa, salame, guanciale, burrata, mozzarella di bufale, grana padano, gorgonzola, taleggio, pecorino eccetera. Sebbene riconosciuti in completa buona fede, i due commerci sono stati chiamati a rifondere ciò che qualcun altro, a loro insaputa, si era intascato. Questo, pur avendo già pagato quelle stesse cifre al momento di saldare le fatture.

‘Più che mandanti, semplici acquirenti’

«Morale della favola: noi, come presunti "mandanti", siamo ritenuti corresponsabili e dobbiamo anticipare un importo superiore ai 25mila franchi, che forse, un giorno, il fornitore ci rifonderà, ai quali vanno aggiunti tutti i soldi già spesi in avvocato». Per Piero Suini «questa pretesa è assurda, perché le stesse Dogane prima, e il Tribunale amministrativo federale dopo (respingendo comunque il nostro ricorso) hanno ammesso la nostra estraneità ai fatti. Ma come "mandanti", tecnicamente, la responsabilità ricade su di noi perché avremmo dovuto esigere i documenti doganali, cosa che non abbiamo mai fatto con nessun fornitore, agendo sempre sulla buona fede e su quanto indicato sulle fatture».

Oltre 25mila franchi di dazi e Iva non pagati «equivalgono per noi a un paio di ragazze in disoccupazione per qualche mese. Da anni diamo lavoro a tempo pieno a cinque commesse, per le quali paghiamo tutti gli oneri sociali, oltre alle imposte, che non sono poche – commenta preoccupato Piero Suini –. La cosa che proprio non sta in piedi è che il Tribunale amministrativo federale di San Gallo crede alla nostra totale buona fede, ma questo ruolo di presunti "mandanti" degli acquisti in Italia sembra incastrarci, quando più che mandanti siamo stati dei semplici acquirenti». Il commerciante ha intenzione di ricorrere al Tribunale federale «perché onestamente non credo di essere debitore verso qualcuno. La parte di Iva e dazi contestata l’ho già pagata così come indicato sulle fatture. È impensabile pretenderla un’altra volta come anticipo, in attesa che il vero responsabile un giorno si ravveda e decida di compensare».

Un’ultima considerazione Piero Suini la butta là con amarezza: «Qualcuno di bene informato sostiene che ai funzionari delle Dogane che riescono a recuperare incassi di questo tipo vadano dei benefici diretti. Questo spiegherebbe lo zelo con cui viene trattato questo caso grottesco. Ma mi rifiuto di credere che oltre a tutto il resto ci sia anche l’ombra di tornaconti personali».

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