Locarnese

Il secolo (straordinario) di Lia Mann

La neocentenaria di Locarno si racconta: dal matrimonio con il letterato ai salotti, dai mille viaggi ad un grande gesto umanitario

In partenza con il marito Eric
22 agosto 2019
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Ci attende in un afoso pomeriggio a casa sua, Lia Mann. Bella nel suo abito a fiorellini scelto per l’occasione, ci accoglie con il sorriso di chi ama curare i dettagli e ripercorrere la sua ricca vita. E lo farà con piglio deciso, senso dell’umorismo, nitidezza nei dettagli e una scioltezza impressionante: Lia Mann infatti si giostra senza la minima difficoltà tra italiano, tedesco, inglese; e noi proveremo a tenere il suo passo, fino a quando passerà al polacco – che assieme al francese e alla lingua ceca pure conosce – comportando la nostra umile richiesta di fermarsi.

Lia nasce a Vienna, vicino agli adorati nonni Friedmann (che possedevano 2 raffinerie di petrolio vicino alla città ucraina di Kolomyja e che grazie ai propri mezzi finanziari permisero ad oltre 80 persone di sposarsi, ci racconta). Nella capitale austriaca sulle rive del Danubio Lia trascorrerà l’infanzia fino ai 12 anni, quando il padre riceve un’ottima offerta di lavoro a Varsavia. Lì la giovane impara il polacco e ottiene la maturità scolastica nel 1937. La partenza da Varsavia però, avviene nel modo peggiore possibile: senza sapere che si tratta di un addio. Mentre la famiglia si trova a Vichy in vacanza, Lia ascolta infatti per caso la conversazione in lingua francese tra due estranei e dice alla madre: “Guerre… Quella parola significa guerra. Arriva la guerra”. Ma i genitori pensano (o forse sperano) che la figlia abbia frainteso. Invece ha capito benissimo. Il ritorno a casa, a Varsavia, sarà loro precluso per sempre.

Perse tutto, la famiglia, qualunque cosa. Infatti le fotografie che ritraggono Lia Mann da bambina e che oggi, con cura, la donna ci mostra sono il frutto di una ricerca effettuata dopo la guerra, tra i parenti e gli amici emigrati o sopravvissuti, per avere qualche ricordo della propria infanzia e della loro vita di quegli anni spensierati.

Dalla Francia, i genitori si recheranno negli Stati Uniti, mentre Lia va a Londra, dove l’attende un lavoro presso una ditta per il trasporto del carbone. Resterà diverso tempo nel Regno Unito, fino a quando si imbarcherà per l’America e raggiungerà Kansas City, dove purtroppo era deceduto il padre. Il ricordo del viaggio è ancora nitido: «Ero l’unica donna e navigammo per ben 28 giorni, finché raggiungemmo New York». Lì, tra le persone giunte a portare le condoglianze, Lia stringe la mano anche a Eric Mann, che diventerà suo marito. Quello scrittore alto, di bell’aspetto e di origini ebraiche era un artista che aveva lavorato per anni come cantante e attore d’opera, negli anni Venti anche all’Opera di Bienne e Soletta. L’arrivo di Hitler però lo aveva reso persona non grata nei teatri, e così si era ritrovato in America a fare lo scrittore, e a stringere quella mano che non lasciò più.

Dal matrimonio con Eric Mann Lia prende ben più del cognome. Insieme i due viaggiarono molto e respirarono lo slancio del dopoguerra, l’aria dei salotti, gli ambienti intellettuali e artistici e la voglia di ricostruire dopo un conflitto terribile, che li aveva toccati ben da vicino: «Quarantotto dei miei parenti morirono nei campi di concentramento». Nella primavera del 1939 Lia ricevette un telegramma che la informava del fatto che ad alcuni suoi conoscenti in fuga veniva impedito l’ingresso nel Regno Unito. Così decise di fare pressione e adoperarsi presso le autorità affinché scampassero al tragico destino dei campi di concentramento: si mise in coda per decine di ore e per diverse volte, esigendo che venissero velocizzate le pratiche, e così permise la salvezza di queste persone: «Hanno poi avuto figli e nipoti, e sapere di essere stata utile a quelle famiglie è sicuramente la cosa più importante di tutta la mia vita».
Tornando al matrimonio con Eric e alla spinta positiva che li investì terminata la guerra, da novelli sposi i Mann rimasero in America per 22 anni ma viaggiarono moltissimo, in ogni angolo della terra, con capatine in Europa una volta l’anno. Poi, rientrati da questi viaggi, scelsero di lasciarne traccia: «Sì, spiegavamo agli americani come viaggiare». In un’epoca in cui la televisione non era ancora capillarmente diffusa, non esisteva internet, né i blog di viaggio o la condivisione delle proprie esperienze sui social media, i Mann divennero un po’ dei precursori, pubblicando annualmente libri sui loro viaggi, consigliando dove recarsi, come equipaggiarsi e perfino cosa gustare.

Accanto ai libri vi erano le conferenze (una perfino alla New York University), nelle quali Mann si raccontavano allo stesso modo. Sebbene fosse il marito Eric il principale autore, Lia rileggeva sempre tutti i testi, e durante le conferenze aveva uno spazio per illustrare alle signore come muoversi per effettuare acquisti azzeccati in Europa, si trattasse di abiti o altro. Secondo Lia Mann, questa attività di promozione portò anche diverse famiglie statunitensi a stabilirsi per qualche periodo alle nostre latitudini.

 

Angela Notari, responsabile comunicazione Città di Locarno

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