Locarnese

Il museo temporaneo per rock-dipendenti e casalinghe punk

Mezzo secolo di storia della musica in mostra al terzo piano del PalaCinema dal prossimo 11 luglio. È il Locarno Rock Museum raccontato dai due collezionisti

Claudio Mollekopf (sx) con Eros Girardi
6 luglio 2019
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Il primo pensiero (malato) è quello di fare irruzione di notte al PalaCinema e portarsi via la Gibson SG ‘Diavoletto’ di Angus Young con sopra gli autografi di tutti gli Ac/Dc. Un fan degli Stones (sempre malato) preferirebbe forse la Epiphone Special Les Paul Style di Keith Richards, battuta all’asta da Christie’s il 30 aprile del 1998 con sopra le firme di chitarrista e cantante. Ma ci si accontenterebbe pure del vinile di ‘Goodbye Yellow Brick Road’, doppio capolavoro di Elton John del 1973, autografato da Sir Elton in persona, dal suo paroliere Taupin e dalla Elton John Band al completo.

Ma siamo persone perbene, e possiamo soltanto ammirare – e così faranno gli appassionati di musica – il Locarno Rock Museum organizzato da PalaCinema ed enjoyArena, dove dall’11 al 22 luglio sarà esposta la collezione di Claudio Mollekopf, in collaborazione con Eros Girardi. Nella sala eventi al terzo piano di piazza Remo Rossi sono già pronti oltre trecento pezzi originali – tra chitarre, vinili, dischi d’oro, cimeli storici di ogni tipo e fattura – spalmati su oltre cinquecento metri quadrati. A parte le star di cui sopra, i nomi sono quelli di Pink Floyd, Queen, Metallica, Police, Aerosmith, Guns N’ Roses (c’è anche il cappello di Slash), Jimi Hendrix, Iron Maiden, Bob Dylan, Michael Jackson, Dire Straits, Bon Jovi e, come si dice in questi casi, “many many more”.

‘Il segreto è sposarsi tardi’

«È nato tutto un po’ per scherzo. Ti fai fare un autografo, poi un altro, e la cosa ti prende la mano» racconta Mollekopf. «Come si mette via tutta questa roba? Il segreto è restare single fino a cinquant’anni». Ride Claudio, con un po’ di realismo. «C’è chi fa figli presto e capisce che non ci sta più dentro. E chi invece si sposa tardi come me».
Fiere, mercatini, scambi, online e di persona. Sono molte le circostanze che portano a contatto con i cimeli del rock. Anche le amicizie. Come quella di Claudio con il compianto Steve Lee dei Gotthard: «Succedeva che la band apriva per qualcuno, e Steve mi chiamava per dirmi ”Senti, suoniamo prima degli Ac/Dc a Torino”, oppure “suoniamo in Germania con Bon Jovi, vuoi fare un salto nel backstage?”. Così prendevo un paio di dischi e chiedevo l’autografo». Quelli d’oro, appesi ai pannelli della mostra, hanno un valore particolare. Li emette la Recording Industry Association of America (Riia), che sin dal 1958 ufficializza le 500mila copie vendute, consegnando gli esemplari in quantità limitata all’artista, alla band, a volte all’art director (è il caso di Andy Warhol per ‘Love you live’ degli Stones. C’è.). «A un certo punto scoprii che molte star, i dischi d’oro, non li ritiravano. Anche questo mi spinse ad appendere i miei sogni al muro». Sia chiaro, però: «Con molta tolleranza di mia moglie, ai concerti ci vado ancora» dice Mollekopf. E ci mostra l’autografo di un Phil Collins recente, e il disco di platino personalizzato dei Kiss, con le generalità del collezionista. «Sono soddisfazioni…».

Le casalinghe punk

«Quel muro racconta un percorso di quarant’anni, dal periodo scolastico a quello della contestazione, ai primi amori, alle prime delusioni». Anche questa è l’emozione che ha spinto il collezionista a raccogliere l’idea di Michael Lämmler di enjoyArena. «Ci siamo detti che avremmo potuto far vivere le stesse emozioni a tutti. Perché tutti siamo stati ragazzi, legati a un periodo preciso. Anche la casalinga avrà provato le prime emozioni con un pezzo di Bruce Springsteen, o magari è stata una punk, e ritrova qui uno spicchio della sua gioventù». Pertanto, che siate lavoratori dipendenti, liberi professionisti o, appunto, casalinghe, l’inaugurazione del Locarno Rock Museum è venerdì 12 luglio dalle 18.30, in occasione dell’evento ‘Rooftop by Movie’, con ricco aperitivo. La mostra è visitabile dalle 17 alle 2 del mattino. L’entrata è libera (info@locarnoevents.ch).

‘Il trofeo che mi manca? La foto con Steve, ma non posso più’

La t-shirt dei Black Sabbath dice che ci andremo giù pesante. Ma solo per questione di genere. Con Eros Girardi, che completa con i suoi pezzi l’imponente apporto di Mollkopf, parliamo tra reliquie ‘hard rock’. Partendo da «Lemmy, un filosofo del rock. Quando ci ha lasciato, tutte le rockstar hanno riconosciuto il suo valore» (Lemmy è Kilmister, fondatore e leader dei Motörhead). Per Girardi «il Rock Museum significa esporre quel che ho raccolto in trent’anni e forse più di passione per il rock. Quando ci è stato chiesto, personalmente sono stato felice. Questa mostra rappresenta quello che siamo, quello che ci piace». Stazioniamo davanti a due chitarre griffate Iron Maiden al completo, e Girardi butta l’occhio sulla foto autografata di Bruce Dickinson. «Grande gruppo, gente che dal vivo non tradisce mai…».

I due passi informali finiscono nei pressi degli ultimi due pannelli, un terzetto italo-svizzero: da una parte De André, al centro un tapiro di Michelle Hunziker («Ma sì, ci sta») e poco più a lato i Gotthard, «che rappresentano per me l’unica cosa che non posso più collezionare. Ma non sto parlando dei loro trofei. Parlo di una foto con Steve Lee. Nel passato ci siamo visti e incontrati tante volte. Lui conosceva il mio amore per i Deep Purple, e, avendo suonato diverse volte con John Lord, ogni volta che tornava da un concerto con lui mi portava ogni tipo di gadget firmato. Mi dispiace che nel tempo che ci ha visti vicini non fosse ancora arrivata l’epoca dei selfie. Ecco, una foto con Steve è forse l’unico trofeo che non avrò mai, e quello che mi manca di più».

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