Locarnese

Cardada, uno Stallone reinventato

Agriturismo con caseificio per rivitalizzare l'alpe secondo le antiche tradizioni. Con un occhio al turismo

18 gennaio 2018
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Stabilirsi allo Stallone, dare avvio all’attività del nuovo agriturismo, prendersi cura del bestiame, mettere in commercio i prodotti caseari da esso ricavati, gestire il ristorante con le sue 7 camerate (per 58 posti letto) e fungere da attrattore turistico. In più, seguire la realizzazione del caseificio e tenere i contatti con il Patriziato promiscuo, promotore dell’iniziativa.

È il “pacchetto” di compiti che attende Claudio ed Elisabeth Ranucoli, di Losone, che dal periodo delle prossime vacanze di carnevale e fino al 2033 (si sono dati un periodo di residenza di 15 anni, prima di andare in pensione) gestiranno la nuova Alpe Cardada. «Un progetto ambizioso in cui crediamo molto – per dirla con Claudio Ranucoli –, contando sulla comprensione di tutti gli utenti durante l’iniziale periodo di rodaggio». Un rodaggio che non potrà comunque prescindere dalla necessità di iniziare a concretizzare le prospettive di rilancio dell’alpe che sono proprie dei tre Patriziati coinvolti – Minusio, Brione s/Minusio e Mergoscia – che unitamente a quello di Avegno, pure interessato dal punto di vista territoriale, stanno già sperimentando una nuova e forse inedita era di coesione. Di tutto questo si è parlato ieri nella sede patriziale di Minusio con il vicepresidente Bruno Assuelli, i già citati nuovi gestori dell’alpe e con Moreno Wildhaber, il giovane architetto che ha progettato il caseificio. La struttura appare ben inserita nel territorio (sorgerà su un terreno a est dello Stallone), costerà circa 750mila franchi, ma non sarà in funzione prima del 2019 o del 2020. Fino ad allora, ha precisato Assuelli, i Ranucoli gestiranno lo Stallone (www.stallone.ch) come negli ultimi 22 anni ha fatto – a suon di polenta e prodotti nostrani – la famiglia Varalli, definita «un’istituzione che non finiremo mai di ringraziare per il servizio reso allo Stallone a favore del turismo e della popolazione indigena».

Quel che è poco ma sicuro è che la coppia di neo-alpigiani sta dando alla propria vita una sterzata clamorosa. È vero che Elisabeth proviene da una famiglia contadina confederata, ma impegnarsi personalmente (previa frequentazione di un corso per casari) a gestire un agriturismo-capanna, con tutte le implicazioni del caso, è un salto nell’incertezza con il solo paracadute dell’entusiasmo. Un sentimento del resto condiviso da tutti gli attori del progetto. Perché l’Alpe Cardada assurgerà a simbolo di un rilancio che dovrà far rima con valorizzazione e salvaguardia del paesaggio. Partendo dalla cura, dal recupero e dall’estensione (fino alla zona di Bietri) dei pascoli esistenti, e dalla realizzazione di piste agricole che consentiranno di raggiungerli con più facilità.

Di particolare interesse sarà poi la funzione del caseificio, che da una parte sarà esempio virtuoso nell’utilizzo di energia pulita (sarà infatti dotato di pannelli fotovoltaici per la produzione di acqua calda) e dall’altra vuole profilarsi come edificio dimostrativo “ad uso e consumo” di un potenziale turistico importante. Proprio nell’ottica della salvaguardia del gesti del passato, è stata recuperata una vecchia caldera a legna per la produzione del formaggio duro. Ma per arrivare a delineare questo scenario, ha precisato Assuelli, «siamo passati da un gran lavoro di pianificazione, in costante contatto con i preposti uffici cantonali. Anche ai funzionari coinvolti deve andare il nostro grazie per l’impegno e la disponibilità dimostrati». 

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