La 15enne aveva ferito un compagno all’addome: pena sospesa e reato derubricato. Deluso il padre della vittima. Il Cdm: nessun provvedimento disciplinare
È sfociato in una condanna a otto mesi di detenzione con la condizionale, rafforzata dall’obbligo di proseguire il doppio percorso ambulatoriale ed educativo già avviato con successo da tempo, il fatto di sangue verificatosi la sera del 19 aprile 2023 all’esterno delle Scuole medie 2 di Bellinzona. Autrice del gesto una 15enne che aveva ferito all’addome un suo compagno di classe 17enne con un coltello da cucina (ne aveva portati con sé due) dopo averlo attirato lì con un messaggino promettendogli una sorpresa. Un gesto sconsiderato che aveva comportato il ricovero del ragazzo (dimesso il giorno dopo con alcuni punti di sutura) e il fermo immediato della responsabile. La quale, dopo un mese trascorso nel carcere giudiziario della Farera, era stata rimessa in libertà provvisoria in attesa di giudizio e sottoposta a misure sostitutive all’arresto; misure successivamente revocate sulla base di una perizia giuridica e sostituite da apposite misure di presa a carico col triplice obiettivo di ridurre il rischio di recidiva, operare una completa ed efficace riabilitazione ed evitare l’isolamento sociale. Misure di protezione che il giudice ha ora confermato. Conclusa l’inchiesta, venerdì scorso si è infatti svolto il processo davanti al Tribunale dei minori presieduto da Enrico Pusterla che dal profilo della commisurazione della pena ha optato per una via di mezzo fra la richiesta formulata dalla magistrata dei minorenni Fabiola Gnesa (10 mesi con la condizionale) e quella della difesa rappresentata dall’avvocata Maria Galliani (6 mesi). Giudice che nella definizione del reato ha optato per la versione subordinata (tentate lesioni gravi) rispetto al reato principale prospettato di tentanto omicidio intenzionale.
Un aspetto determinante, specialmente nell’ambito del diritto minorile, è rappresentato dallo sforzo collettivo messo in campo dalle istituzioni, sin dalle prime fasi dell’inchiesta e anche dopo, per assicurare la giusta assistenza sia alla vittima, sia all’autore del reato. Nel secondo caso l’esercizio si rende necessario nell’ottica di un lavoro d’assieme orientato non solo a una presa di coscienza ed elaborazione della colpa (la pena massima prevista dal diritto minorile ammonta a 12 mesi di detenzione), ma anche a un ‘ripristino esistenziale’ ad ampio raggio attraverso un percorso da affrontare con l’aiuto di specialisti. Nel caso specifico trattamenti ambulatoriali (per il lato medico) e un approccio educativo e sociale i cui esiti sono monitorati per verificarne l’efficacia. Un approccio ancorato nella legge e volutamente meno punitivo rispetto a quello previsto per gli adulti autori di reato.
«Non sono giurista e come padre di una vittima condivido solo in parte l’importanza e l’esigenza di questo approccio», dichiara interpellato dalla redazione il padre della vittima patrocinata dall’avvocato Giacomo Fazioli. «A mio avviso – dettaglia il padre – la pena così com’è stata quantificata, ossia la concessione della condizionale e nessun periodo di reclusione effettiva in carcere o altra struttura, perde di valore. Non appare educativa per quei giovani, e ne girano purtroppo parecchi, che pensano di poter risolvere i loro problemi facendo del male». C’è insomma poca soddisfazione: «L’inchiesta ha bene evidenziato quale fosse la reale intenzione della ragazza, che non era unicamente spaventare il suo compagno di classe. Fra l’altro uno dei pochi, se non il solo, della scuola con cui lei aveva un po’ legato. Perciò ritengo che il diritto minorile abbia dei limiti poco comprensibili e condivisibili».
Il ragazzo, prosegue il padre, «ha avuto ripercussioni pesanti. Se dal profilo fisico la ferita si è ben presto rimarginata, non altrettanto può dirsi di quella interiore. Sta cominciando a uscirne solo ora. Nel frattempo a settembre non si è più presentato a scuola, dove gli sembrava di subire troppo l’attenzione generale, quasi fosse lui il colpevole; ora sta cercando un apprendistato». Dettaglio importante: anche nei confronti della vittima, nel frattempo divenuta maggiorenne, sono stati attivati tutti gli strumenti previsti per aiutarla a ritrovare fiducia e normalità: «Ma non li ha voluti. Ho insistito affinché si facesse aiutare e seguire, ma ha preferito fare di testa sua operando semplicemente un taglio netto con la scuola e col passato».
Nella vicenda si è innestata quella di un’amica dell’accoltellatrice. Sentitasi minacciata di morte nel 2022, fra l’altro in presenza di una testimone, l’amica ne parla ai genitori. I quali successivamente segnalano il fatto alla Polizia cantonale senza però presentare denuncia, visto anche che le due ragazze non si frequentano da qualche tempo. Gli accertamenti di polizia non danno risultati. A inizio aprile 2023 gli stessi genitori ricontattano la polizia indicando che, in base a loro informazioni, la 15enne sarebbe pronta a ferire il 17enne poi effettivamente accoltellato. Ma l’ispettore incaricato in quel momento è assente, l’informazione non lo raggiunge e non ha effetti. Si verifica il ferimento, scatta l’arresto e l’inchiesta entra nel vivo. La magistrata ordina provvedimenti supercautelari atti a evitare che l’accoltellatrice, posta in libertà provvisoria, si avvicini all’ex amica minacciata. Ma le due, senza alcuna intenzionalità, finiscono casualmente nello stesso ristorante. Inoltre la testimone della minaccia si ritrova a scuola nella stessa classe dell’accoltellatrice. I genitori dell’ex amica chiedono così al Consiglio della magistratura (Cdm), quale organo di vigilanza, di verificare l’operato di Fabiola Gnesa e se abbia sottovalutato taluni rischi. Il presidente del Cdm, Damiano Stefani, approfondisce il caso e incontra Gnesa. E giunge alla conclusione, tre giorni fa, che non vi è spazio per nessun procedimento disciplinare ritenendo “il lavoro svolto ineccepibile, competente, serio e non superficiale come ipotizzato”.
Sempre Stefani segnala due appunti personali: il primo è che, se da una parte trova giustificazione nel segreto professionale e nella protezione dei dati (ndr: come la stessa Gnesa ci aveva spiegato il 9 ottobre 2024) il fatto che la direzione scolastica non sia stata informata dalla magistrata dei minorenni sulla situazione dell’allieva accoltellatrice e sulla necessità di evitare contatti con la testimone, dall’altra “a mente di chi scrive sarebbe stato opportuno includere nella rete di sostegno, e quindi informare, anche la direttrice della scuola, tenuta anch’ella al segreto professionale”. Una mancanza priva di ripercussioni disciplinari, ma “che consente di dare lo spunto per suggerire di valutare come ovviare a questa lacuna nel futuro”. Il secondo appunto di Stefani riguarda “un’inadempienza marginale”, ossia la mancata risposta a cinque lettere del legale della famiglia della minacciata (avvocato Cesare Lepori): “Sarebbe opportuno che non accada più, a prescindere dal carico di lavoro della Magistratura dei minorenni”. Sul cui lavoro svolto sempre Stefani auspica “una maggiore comprensione da parte dell’utenza”. Lavoro, come detto, ritenuto “ineccepibile”. La famiglia dal canto suo è propensa a chiedere, come le concede la legge, che a esprimersi sulla sua segnalazione sia anche il plenum del Cdm.