Bellinzonese

Aggressione alla stazione di servizio, l’accusa chiede 14 anni

La procuratrice pubblica Pedretti ne è convinta: ‘L’imputato ha agito con premeditazione e ha colpito senza scrupoli’

(Ti-Press)
7 marzo 2024
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Quattordici anni di carcere. Questa la pena reclusiva che la procuratrice pubblica Pamela Pedretti propone a carico del 51enne accusato di tentato assassinio per avere colpito un 57enne con una mazza di legno all'interno del magazzino della stazione di servizio Eni, in via Motta a Bellinzona, nel pomeriggio del 4 febbraio 2022. L'accusa non crede assolutamente alla tesi dell'imputato secondo cui, una volta scoppiata la lite, lui abbia dovuto difendersi dalla vittima, un italiano al quale l'imputato doveva 25mila franchi. La pp è invece convinta che il 51enne, uno svizzero di origini polacche gestore della stazione di servizio, abbia voluto uccidere con un atto premeditato.

«L'imputato proprio non riesce a dirci come sono andate realmente le cose, ovvero di averlo colpito a tradimento alle spalle, mirando alla testa, anche quando la vittima era a terra in una posizione di inferiorità. Ha agito selvaggiamente e senza scrupoli – ha aggiunto la procuratrice durante la requisitoria –. In quella stanza è stata una vera e propria mattanza. Ha agito con premeditazione, cercando di uccidere con modalità perverse, giocandosi poi il tutto per tutto per tentare di farsi passare come vittima dell'aggressione».

‘Aveva un piano e ha disattivato la telecamera’

La pubblica accusa non crede dunque alla tesi secondo cui l'imputato avrebbe agito in quel modo ritenendosi in pericolo (durante l'inchiesta ha riferito che il 57enne avrebbe minacciato di uccidere i suoi familiari o di dare fuoco alla stazione di servizio). Pedretti ritiene semmai che farsi passare come vittima facesse parte del piano dell'imputato: «Nel corso del tempo le parole di colui che voleva farsi pagare i 25mila franchi per la vendita del suo furgone, si sono fatte più dure e dirette, ma senza mai trascendere nelle minacce di fare del male. Minacce di cui non c'è traccia nei messaggi che i due si sono scambiati via cellulare. Se quel giorno davvero aveva così paura, l'imputato ci deve spiegare perché lo ha portato nel suo magazzino, con vetri oscurati, dove nessuno sarebbe giunto in soccorso se fosse stato aggredito. La sola ragione era che l'imputato aveva deciso di ucciderlo in un luogo al riparo da occhi indiscreti, sapendo che nessuno sarebbe arrivato. E ha disattivato la telecamera della videosorveglianza per evitare di essere visto entrare nel magazzino con la vittima». E ancora: «Se davvero si sentiva minacciato, ci deve spiegare perché non ha estinto il debito quando ne aveva la possibilità. Non l'ha fatto perché non voleva, la sua voglia di guadagnare era superiore, ma soprattutto perché non aveva nulla da temere».

Durante la requisitoria la pp Pedretti ha dunque più volte sottolineato la non credibilità dell'imputato, evidenziando i continui cambi di versione avvenuti durante gli interrogatori, con ammissioni fatte solo davanti alle evidenze e i continui «non ricordo» quando posto di fronte a elementi che potessero metterlo in difficoltà davanti agli inquirenti. La parola passa ora all'avvocato Marco Masoni, patrocinatore della vittima confrontata con danni cerebrali permanenti a causa dei colpi ricevuti alla testa. Nel pomeriggio sarà invece il turno dell'arringa difensiva con l'intervento dell'avvocata Maria Galliani.

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