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AlpTransit fra merci e Pfas: mix (ir)risolto di rischi e rumore

Il Consiglio di Stato risponde a due interrogazioni spiegando quanto è stato fatto e migliorato e quanto resta ancora da affrontare

Passeggeri e merci nel collo di bottiglia di Bellinzona-Giubiasco: un nodo ancora da sciogliere
(Ti-Press)
5 febbraio 2024
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Utilissima per accorciare i tempi ferroviari lungo l’asse del Gottardo. Ma quale prezzo bisogna pagare per convivere, oggi e a lungo termine, con la linea AlpTransit nel fondovalle ticinese? A questa domanda era chiamato a rispondere il Consiglio di Stato sollecitato due volte. Dalla granconsigliera dei Verdi Nara Valsangiacomo e cofirmatari sulle sostanze chimiche velenose Pfas rinvenute nei pozzi di captazione di Sant’Antonino e Ponte Capriasca raggiunti da acqua di falda entrata in contatto col cantiere per la galleria di base del Ceneri; dal deputato Plr Tiziano Zanetti e cofirmatari sulla forzata convivenza della popolazione con la linea ferroviaria e i rischi evidenziati dopo l’incidente verificatosi lo scorso 10 agosto nel tunnel di base del Gottardo.

‘Limitare l’utilizzo alla fonte’

Partiamo dalle Pfas, che grazie alle loro proprietà fisico-chimiche uniche – stabilità, resistenza a temperature e degradazione, caratteristiche idrofobiche e oleorepellenti – durante l’ultimo mezzo secolo sono state ampiamente usate anche nelle costruzioni. A causa dei loro effetti tossici per lo sviluppo e il sistema immunitario, e i potenziali effetti cancerogeni, “sono oggi proibite o fortemente limitate anche nel nostro Paese”. Che intende abbassare entro il 2026 i limiti massimi ammessi “adeguandosi così alla più stringente normativa europea”. Il Cantone nel 2020 ha avviato una vasta campagna di analisi del suolo e delle acque in cerca di Pfas. Una quarantina i siti radiografati: parchi, terreni agricoli, acqua del Ceresio e falde. Criticità sono emerse nei pozzi Prà Tiro di Chiasso, Pezza di Capriasca e Boschetti di Sant’Antonino. In quest’ultimo comune le autorità locali a fine 2023 hanno stanziato 1,8 milioni per posare un grosso impianto con filtri a carbone in grado di abbattere le Pfas. Le ricerche “hanno permesso di stabilire che almeno una tipologia di materiale da costruzione utilizzato nella galleria di base del Ceneri è all’origine della presenza di Pfas, in particolare del suo composto Pfba, nell’acqua che fuoriesce dal tunnel al portale nord di Vigana e al deposito di Sigirino”. Si è trattato di un uso abusivo? Affatto: la relativa ordinanza federale “non prevedeva il divieto d’uso del Pfba. E nemmeno oggi il suo impiego è limitato, né in Svizzera né in Europa”. Perciò il CdS ribadisce la necessità di “limitare alla fonte l’utilizzo di sostanze simili, aggiornando la normativa. Nel caso concreto, trattandosi di un materiale costruttivo della galleria, un risanamento a posteriori dell’opera è impensabile”. A loro volta le Ffs “dovranno convogliare gli scarichi di acque contenenti Pfas nei punti critici e ripristinare la situazione” con dei filtri. Sulla scorta di questa esperienza, conclude il governo cantonale, “per i futuri cantieri di grandi opere verrà sistematicamente richiesta la garanzia dell’utilizzo di prodotti completamente esenti da Pfas”.

‘Rischio sopportabile’

Tiziano Zanetti e colleghi, ricordiamo, basavano le loro preoccupazioni sul rischio di deragliamento – in zone abitate – di treni con merce pericolosa. Un rischio concreto visto quanto successo nel tunnel del Gottardo la scorsa estate? Il Consiglio di Stato affronta la questione da un’altra prospettiva: in materia di merci pericolose “non è importante conoscere nel dettaglio quali siano, bensì il rischio per la popolazione e per l’ambiente rappresentato dal loro trasporto”. Il CdS ne è a conoscenza grazie alla pubblicazione fatta nel 2021 dall’Ufficio federale dei trasporti ‘Rischi per popolazione e ambiente derivanti dal trasporto di merci pericolose su ferrovia’. Ebbene in Ticino “il rischio per la popolazione è generalmente sopportabile. Unicamente presso la stazione di Bellinzona vi è un segmento che presenta un rischio”. Ma il CdS non fornisce i dettagli. Sempre secondo l’Uft – prosegue il governo – in materia di rischio per l’ambiente “esistono attualmente in Ticino due tratti di ferrovia per una lunghezza complessiva di 0,8 km dove il rischio è risultato non sopportabile per le acque superficiali. E per 0,3 km non sopportabile per quelle sotterranee”. Ma non dice dove, specificando però che “il Dipartimento del territorio richiede con inflessibilità la messa in opera rigorosa di tutte le misure atte a ridurre il rischio residuo, per risolvere quanto prima le situazioni puntuali ritenute non soddisfacenti”. Come, dove e quando, non è dato sapere.

Niet dell’Uft vecchio di 8 anni

Uno dei punti sensibili, evidenziavano Zanetti e colleghi, è il rinnovo del materiale rotabile, visto che a causare il deragliamento dello scorso agosto è stata la rottura di una ruota di uno dei trenta vagoni formanti il convoglio. I primi frammenti sono stati trovati sulla linea 10 km prima del tunnel e il cedimento definitivo si è verificato 17 km dopo il portale sud di Pollegio. Dall’inchiesta è emerso che il problema delle crepe per questo tipo di ruote è noto sin dal 2016 in Italia e Belgio e che un’ispezione ottica non sempre è in grado di rilevarle. Ebbene, il CdS spiega che la pianificazione e le prospettive temporali per il rinnovo del materiale rotabile “sono gestite dalle diverse imprese di trasporto col controllo dell’Uft”. E aggiunge di essersi attivato “già nel 2016 per richiedere espressamente all’Uft di aumentare il numero di controlli sui treni con merci pericolose, in particolare quelli alla frontiera, rendendoli molto frequenti se non sistematici. Era stato chiesto inoltre di inasprire le sanzioni in caso di non conformità, in modo da sostenere un reale effetto deterrente e preventivo”. La risposta dell’Uft, riportata dal governo, lascia l’amaro in bocca: “Considerando i controlli già effettuati sui treni merci e i dispositivi di monitoraggio presenti lungo la linea, confermava di non ritenere necessario d’intensificare i controlli eseguiti e neppure di obbligare le imprese ferroviarie a verificare tutti i treni in dogana. Faceva notare inoltre che per tale attività mancava una base legale conforme”. Trascorsi da allora otto anni, e visto quanto successo, la musica potrebbe ora cambiare. Grazie in particolare alla diagnostica informatizzata che si sta sviluppando.

Dimezzato ma non ancora ottimale

Infine, in tema di rumore, il CdS sottolinea che l’introduzione di nuovi treni ha ridotto l’impatto fonico: “I carri merci oggi sono circa 10 decibel più silenziosi rispetto al 2003. La differenza corrisponde quasi al dimezzamento del volume sonoro percepito, che compensa ampiamente il rumore causato dall’aumento del traffico merci”. Inoltre il risanamento fonico di competenza Uft effettuato sulla linea “ha permesso di proteggere almeno due terzi della popolazione esposta”. A ogni modo il CdS assicura che l’impegno “continuerà in futuro perfezionando veicoli e binari”. Anche perché, sebbene la situazione attuale sia ritenuta “migliore rispetto alle previsioni”, la situazione “non può ancora essere considerata ovunque ottimale”. Anzi, puntualmente è “insoddisfacente”. Concretamente, nelle zone abitate sono state posate barriere foniche. E laddove queste non erano possibili – come a Bellinzona dove per motivi paesaggistici e di accesso degli utenti non si è potuto posare pareti più alte – sono state sussidiate finestre fonoisolanti per complessivi 16,5 milioni di franchi in Ticino. Proprio nel principale collo di bottiglia ferroviario sulla linea del Gottardo, ossia il tratto Bellinzona-Giubiasco da risolvere col terzo binario già in parte realizzato, si rende necessaria la separazione del traffico merci da quello viaggiatori “per alleggerire il carico sulle aree densamente abitate”. Perciò il CdS ritiene tutt’oggi indispensabile il previsto aggiramento di Bellinzona sul Piano di Magadino, che Berna ha però rinviato alle calende greche.MA.MO.

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