Bellinzonese

Buco tappa buco: condannati due pensionati del Bellinzonese

Con la loro Sa attiva sul mercato dei metalli i coniugi hanno ingannato una banca con fatturazioni false causando un danno finale di 2 milioni

In sintesi:
  • Per il marito tre anni di detenzione di cui sei mesi da espiare, ma niente espulsione dalla Svizzera
  • Per la moglie due anni di detenzione sospesi condizionalmente più una multa effettiva di 2’000 franchi
(Ti-Press)
3 maggio 2023
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Quando in ambito commerciale la pratica del ‘buco tappa buco’, messa in atto per restare a galla in un momento di difficoltà, sfocia in una voragine così grande da risultare impossibile da coprire. Con inevitabili conseguenze penali e civili. Che sono, le prime: per lui tre anni di detenzione di cui sei mesi da espiare, ma niente espulsione dalla Svizzera (cittadino italiano in Ticino sin da giovane) trattandosi di un caso di rigore; per lei, la moglie, due anni di detenzione sospesi condizionalmente più una multa effettiva di 2’000 franchi. Questo l’accordo trovato dal procuratore pubblico Andrea Maria Balerna e dalla difesa dei due coniugi pensionati del Bellinzonese (avvocati Sofia Padlina e Fabio Creazzo) giunti stamane a processo davanti alle Assise criminali di Bellinzona per rispondere dei reati, commessi insieme, di ripetuta falsità in documenti e abuso di un impianto di elaborazione dati; più singolarmente per lui bancarotta fraudolenta e omissione di contabilità.

Accusatrice privata una banca, coinvolta nella loro attività con un contratto di factoring che prevedeva il versamento dell’85% del valore delle fatture emesse nei confronti di società estere. Banca che stando all’atto d’accusa ha poi avanzato pretese civili per 2 milioni di franchi, mentre l’agire fraudolento ricostruito dagli inquirenti ha raggiunto quota 4 milioni. Sottoscrivendo oggi l’accordo raggiunto dalle parti a seguito anche al disinteressamento dell'accusatrice privata, che ha ottenuto quale risarcimento l’introito della vendita della loro abitazione, la Corte presieduta dal giudice Amos Pagnamenta ha parlato di «collaborazione degli imputati solo parziale durante l’inchiesta» e ha evidenziando che la donna «ha tentato ancora durante il processo di relativizzare il proprio coinvolgimento».

Nei guai anche l'ex segretaria complice

Risalenti i fatti al periodo 2015-18, il caso ruota attorno a una Sa, con sede nel loro Comune di domicilio e nel frattempo fallita e radiata dal Registro di commercio, di cui l’imputato 74enne era amministratore unico e comproprietario insieme alla moglie di 73 anni. Società attiva nel campo del commercio internazionale di metalli. Da notare che tramite decreto d’accusa è già stata condannata a nove mesi sospesi condizionalmente una loro ex segretaria ritenuta complice. «Ho iniziato a emettere fatture false – ha spiegato lui – per far fronte a crescenti problemi emersi sul mercato. Da una parte l’evoluzione del franco non ci stava aiutando, dall’altra c’erano però anche prospettive positive per il futuro». Da qui la decisione dotarsi di un salvagente che avrebbe dovuto servire per un periodo non troppo lungo, giusto il tempo di vedere raddrizzato l'andamento degli affari. Il tutto però ingannando la banca e tenendo all’oscuro le varie società estere con cui la coppia era in affari. Nel concreto: timbri e firme fasulle apposte su documenti e fatture per far credere all'istituto che fossero stati consegnati quantitativi di metalli in realtà inesistenti. Il sistema ha retto finché la banca, raggiunta una cifra ragguardevole di esposizione e intuendo l’esistenza di un problema, si è mossa autonomamente chiedendo lumi a una società cliente della Sa ticinese. La risposta è stata: siamo all’oscuro di tutto. Da qui la segnalazione fatta dall’istituto di credito al Ministero pubblico, l’avvio dell’inchiesta penale e l’inoltro in Pretura di un’istanza di fallimento pronunciato nel marzo 2018.

‘Ho dovuto farlo’

«Avevo la testa talmente confusa che non riuscivo a far collimare le cifre», ha brevemente motivato il co-imputato durante il breve dibattimento in tribunale a Lugano. Complessivamente 77 i crediti fasulli inseriti dalla coppia e dalla segretaria nel sistema informatico. «Mio marito – ha detto l'imputata rispondendo ad alcune domande incalzanti del giudice – mi chiedeva di sostenerlo in questa faccenda. Si prospettava un futuro meno problematico… Purtroppo ho dovuto farlo». Lui ha subito specificato che «non abbiamo mai approfittato della situazione a livello personale. Ciò che avevamo, l’abbiamo messo nella società per risolvere i problemi, senza trarre profitto. Infatti da circa un anno avevamo rinunciato allo stipendio e vivevamo della nostra pensione, come oggi». Nell’atto d’accusa si evidenzia per contro la reiterazione dei reati “con l’intenzione di ricavarne una fonte di reddito costante”.

C‘è ancora una seconda Sa

Da notare infine che a Registro di commercio l'imputato risulta tutt'oggi amministratore unico di un'altra Sa, con sede al suo domicilio, pure citata nell'atto d'accusa alla voce bancarotta fraudolenta. La colpa? Aver diminuito fittiziamente l'attivo della Sa fallita riconoscendo un debito inesistente di 20'000 franchi nei confronti della società ancora in vita; e distratto un credito di 28'000 euro che la prima Sa vantava nei confronti di una cliente emettendo la relativa fattura con la seconda Sa. Attiva, quest'ultima, nella consulenza e commercio di prodotti di ogni genere, in particolare macchinari e impianti nel settore energetico e ambientale; come pure la cessione di marchi, brevetti, licenze; e la prestazione di servizi, la consulenza e l’assistenza nel campo direzionale, organizzativo, amministrativo-finanziario. Un ambito molto vasto dov’è facile perdere l'orientamento.

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