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Peste suina: maiali da ‘blindare’ anche sugli alpeggi

Doppie barriere necessarie a evitare contatti con i cinghiali. Appello del veterinario cantonale: non foraggiare né abbandonare resti di cibo

Paletti e fil di ferro, soluzione ormai insufficiente anche sugli alpeggi
22 aprile 2022
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Preme da sud sul confine tra Piemonte e Liguria e preme da nord in alcuni Länder tedeschi. Letale per maiali e cinghiali ma innocua per l’uomo, la peste suina africana (Psa) dal 2007 – quando è comparsa per la prima volta nel continente, in Georgia – è sorvegliata speciale in Europa dove si è man mano diffusa. Senza tuttavia ancora raggiungere le nostre latitudini. Un Ticino che con i suoi circa 2’500 maiali da reddito per ora non è toccato dal problema, ma le cui autorità hanno ulteriormente alzato il grado d’allerta quando lo scorso inverno in provincia di Alessandria, a soli 200 chilometri da qui, è scattata la strategia di contenimento su larga scala dopo la scoperta dei primi casi di positività al virus in alcune carcasse di cinghiali trovati morti. Quello che il settore primario di quella zona si augurava essere un caso isolato, ha invece ben presto assunto la dimensione di un’emergenza regionale – sanitaria ed economica – vista l’alta trasmissibilità e mortalità che obbligano a ‘blindare’ gli allevamenti di suini e a procedere con soppressioni mirate in presenza di focolai. E sono perdite affatto marginali.


Ti-Press
Il veterinario cantonale Luca Bacciarini

Numero raddoppiato in Ticino

Precauzioni – spiega alla ‘Regione’ il veterinario cantonale Luca Bacciarini dopo i primi appelli diffusi lo scorso marzo – s’impongono anche in Ticino, laddove il cinghiale è assai diffuso e dove anche la presenza dell’uomo, con i suoi comportamenti, può rappresentare un rischio. Infatti esso stesso, per esempio non gestendo adeguatamente gli scarti alimentari, può diventare un anello di trasmissione della malattia. Un problema che proprio adesso rischia di accentuarsi con l’arrivo della bella stagione, quando il turismo pedestre si sposta dalla pianura alle vallate dell’Alto Ticino. Dove peraltro – doppio problema – la presenza del cinghiale è un dato assodato essendo la sua popolazione raddoppiata negli ultimi anni avendo dapprima raggiunto il Piano di Magadino proveniente da Mendrisiotto e Malcantone ed essendosi ben presto estesa verso nord fino alla Riviera e all’imbocco delle valli Leventina e Blenio, come pure delle valli locarnesi Verzasca e Maggia.

Alla buona non si può più

E da qui agli alpeggi il passo è breve. Quegli alpeggi dove non è raro imbattersi in simpatici gruppi di maiali talvolta gestiti alla buona e che occasionalmente finiscono per occupare gli stessi spazi frequentati dalle persone come le fontane, le immediate vicinanze o prati non delimitati o cintati. «Situazioni ovviamente non paragonabili alle grandi produzioni suine tedesche e del nord Italia, ma che dovrebbero indurre tutti, questo il nostro auspicio, ad adottare comportamenti corretti e a implementare le necessarie soluzioni logistiche», indica Luca Bacciarini riallacciandosi alla campagna nazionale di prevenzione cui nel 2020 ha aderito anche il Ticino.

Scarti alimentari: come disfarsene

Punto primo. Sia nella vita di tutti i giorni, sia spostandosi nel territorio, una corretta gestione ed eliminazione degli scarti alimentari diventa d’importanza, è il caso di dirlo, vitale: «Non devono finire nell’umido e nel composter, né essere gettati in giro o dati in pasto ai maiali, ma semmai infilati nei sacchi ufficiali dei rifiuti solidi urbani destinati agli impianti d’incenerimento», spiega il veterinario cantonale. E questo per un motivo molto semplice: potrebbe trattarsi di cibo, in primis carne cruda e insaccati, proveniente da zone nelle quali il virus è presente e che può rimanere attivo negli alimenti anche diversi mesi. In parole povere: abbandonare nella natura o dare in pasto ai maiali anche la banale pelle di un salametto può innescare un dannoso effetto a catena, con conseguenze nefaste non per l’uomo ma per gli animali e per la filiera della carne. Idem il compostaggio casalingo, che può attirare animali selvatici in cerca di cibo. Come pure – e questo è un appello rivolto alle autorità comunali – i cestini per la spazzatura presenti specialmente nelle aree pic-nic molto frequentate da popolazione e turisti: vanno svuotati quotidianamente perché in grado di attirare interi gruppi di famelici cinghiali in cerca di cibo. Pure auspicata una corretta gestione degli ecocentri, impedendo l’accesso di selvatici.

In alternativa può essere elettrica

E visto che con l’estate si avvicina anche il carico degli alpeggi con animali da reddito, gli allevatori sono chiamati a fare la loro parte vigendo l’obbligo di attuare tutte quelle misure necessarie a evitare contatti fra suini domestici e cinghiali nelle zone dove questi ultimi sono presenti. I maiali andranno dunque fatti grufolare dentro appositi recinti metallici doppi: alla prima barriera, di altezza minima un metro e mezzo, dev’esserne aggiunta una seconda esterna della medesima altezza, distante almeno un metro e mezzo e interrata per almeno venti centimetri. In alternativa sono da utilizzare le recinzioni elettriche, più leggere e facilmente amovibili ma ugualmente efficaci. Così facendo si evita il contatto fra maiale e cinghiale, quest’ultimo molto agile e forte, in grado di superare ostacoli e di scavare buche pur di raggiungere l’obiettivo. Utile sarebbe anche posare una segnaletica che inviti i passanti a non foraggiare i suini. Raccomandazioni valide anche adesso nelle zone di pianura, laddove in talune aziende agricole e maneggi stanno spuntando recinzioni improvvisate nelle quali i giovani maiali trascorrono le prime settimane di vita in attesa di salire in quota. Situazioni, ludiche e istruttive, che suscitano interesse specialmente fra i bambini, ma che possono comportare dei rischi facilmente evitabili.

Lo scenario peggiore

A qualcuno tutto ciò potrebbe sembrare un’esagerazione. Ma il Cantone al riguardo è chiaro: "Se la malattia colpisce i suini domestici – si legge nella sezione di portale dedicata al tema – l’azienda è posta sotto sequestro e gli animali abbattuti. Attorno al focolaio sono istituite delle zone di protezione e di sorveglianza (rispettivamente di 3 e 10 km) all’interno delle quali vigono severe misure per evitare il diffondersi della malattia. In aggiunta, tutte le relazioni commerciali di import-export di animali vivi suscettibili, o di prodotti carnei, ne risentirebbero gravemente e potrebbero addirittura essere interrotte". E poiché, per concludere, il virus è molto resistente nell’ambiente e può essere trasportato attraverso i vestiti e i veicoli, "chi entra o rientra in Svizzera da Paesi o zone a rischio, dov’è entrato in contatto con maiali o cinghiali, è tenuto ad evitare qualsiasi contatto diretto o indiretto con suini domestici o cinghiali. In caso di particolare sospetto le superfici di attrezzature, vestiti o veicoli devono essere puliti e disinfettati".

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