Bellinzonese

Eritrea deceduta, assassinio confermato, 18 anni per il marito

La Corte di appello ha confermato l’accusa principale a carico del 40enne, infliggendogli due anni in più rispetto al verdetto emesso in primo grado

(Ti-Press)
17 settembre 2021
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La Corte di appello e di revisione penale ha inflitto 18 anni di carcere al 40enne eritreo già condannato in prima istanza per avere ucciso la moglie spingendola giù dal balcone del quinto piano di una palazzina di via San Gottardo a Bellinzona, la sera del 3 luglio 2017. Due anni di carcere in più rispetto alla sentenza pronunciata lo scorso dicembre dalla Corte delle assise criminali. L’agire dell’uomo è stato dunque valutato ancora più grave di quanto non abbiano valutato i primi giudici. La Corte di appello presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will ha inoltre confermato l’espulsione dalla Svizzera dell’uomo per 15 anni e il risarcimento di 50mila franchi nei confronti di ognuno dei due figli rimasti orfani della madre, così come richiesto dalla rappresentante dell’accusa privata, l’avvocata Demetra Giovanettina. Diversamente da quanto stabilito in primo grado, l’espulsione va iscritta nel sistema informativo di Schengen. Il dispositivo della sentenza è stato comunicato oggi alle parti.

In un processo fortemente indiziario, privo delle cosiddette prove schiaccianti, la Corte di appello ha dunque confermato la proposta di pena formulata del procuratore pubblico Moreno Capella, che durante il dibattimento tenutosi martedì aveva nuovamente fatto leva sulla perizia tecnico-scientifica affidate all’Istituto di medicina legale dell’Università di Berna, che così ha concluso: solo attraverso una spinta, e non un atto volontario di lasciarsi cadere, il corpo della vittima poteva raggiungere il punto dove è stato rinvenuto (a circa tre metri e mezzo dall’edificio). L’impianto accusatorio era inoltre basato sul comportamento dell’uomo subito dopo la caduta della moglie (non ha allertato i soccorsi e ha nascosto il coltello usato in precedenza per minacciare la donna), le testimonianze di alcuni dirimpettai e le importanti escoriazioni sulla gamba e sul braccio della vittima, compatibili con la posizione a cavalcioni e con il tentativo di aggrapparsi al parapetto per opporsi alla forza del marito. Il movente dell’uomo è stato la gelosia: aveva il timore che moglie – che lo aveva raggiunto in Ticino da pochi mesi – potesse tradirlo. Un sentimento alimentato dal fatto che la donna avesse contratto l’epatite B a causa di un rapporto sessuale (in realtà la malattia era cronica e aveva origini remote) e che potesse essere incinta nonostante le rassicurazioni della dottoressa della moglie.

Dal canto suo l’avvocata Manuela Fertile, patrocinatrice dell’imputato, si era battuta per il proscioglimento sostenendo che la donna si sia suicidata a causa della situazione di grande stress dettata da più motivi di natura psicologica (le continue pressioni del marito, l’aborto, l’epatite B). Fertile aveva inoltre esposto dubbi sull’attendibilità della perizia tecnico-scientifica, sostenendo che non ci siano sufficienti elementi oggettivi per una ricostruzione fedele. A cominciare, ha detto in aula martedì, dall’esatta posizione del cadavere che sarebbe stato spostato dai soccorritori, e dal fatto che i test con il manichino (volti a determinare la ricostruzione della traiettoria del corpo in aria) non siano stati condotti dalla medesima altezza del balcone del quinto piano della palazzina di via San Gottardo. La difesa non ritiene inoltre per niente credibili le testimonianze dei dirimpettai della coppia.

Da sempre si professa innocente

Il 40enne, in carcere dalla sera dei fatti, si è sempre professato innocente, sostenendo che la moglie abbia voluto farla finita e che lui abbia semmai tentato di salvarla, cercando di trattenerla per un braccio prima che lei si schiantasse al suolo dopo un volo di circa 18 metri. Martedì lo ha nuovamente ribadito in aula, non riuscendo a trattenere le lacrime quando la giudice gli ha lasciato la facoltà dell’ultima parola.

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