delitto di monte carasso

'In carcere pratiche contrarie alle convenzioni internazionali'

Durante il processo in Appello a colei che è stata ritenuta la mente dell'assassinio di Monte Carasso, l'avvocato difensore denuncia le condizioni di carcerazione

Il Centro formativo della Polizia cantonale a Giubiasco (Ti-Press)
30 settembre 2020
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Un'arringa talmente lunga da dover richiedere più pause, compresa quella per il pranzo. La difesa è protagonista dell'ultima giornata (prima della sentenza) del processo in Appello fatto aprire dalla 41enne russa che si oppone alla condanna di assassinio dopo che in primo grado la Corte l'aveva ritenuta la mente del delitto di Monte Carasso.

Il difensore Yasar Ravi ha evocato alcune convenzioni internazionali sui diritti umani all’inizio del suo intervento, facendo innanzitutto notare che la sua cliente aveva diritto fin da subito a contattare un rappresentante estero, che è invece stato chiamato solo una decina di giorni dopo il suo arresto. Contestate anche le condizioni di carcerazione in regime speciale che l’imputata ha subito, chiusa in cella per 23 ore al giorno, con una sola ora di visita permessa alla settimana (e sorvegliata). «Le convenzioni europee contro la tortura raccomandano che la carcerazione preventiva venga limitata allo stretto indispensabile, massimo qualche mese. Lei ci rimane per un anno», ha spiegato Ravi. La donna ne soffre al punto da decidere di venire trasferita in un carcere femminile nel Canton Berna. «Non è raro un atteggiamento processuale non del tutto lineare quando ci sono condizioni di detenzione restrittive», ha aggiunto l’avvocato, spiegando che l’imputata a ridosso del dibattimento in appello (iniziato lo scorso 8 settembre) viene ritrasferita alla Farera di Lugano e pochi giorni dopo le viene inflitta una sanzione disciplinare. Il motivo? Si è opposta alla pratica a cui viene sottoposta ogni volta dopo aver ricevuto visite o dopo il rientro dall’ora d’aria: la perquisizione anale. Una misura che, ha sottolineato il difensore, secondo le convenzioni sopraccitati va fatta solo se è effettivamente giustificata e che reputa sproporzionata.

A proposito del carattere della sua cliente, Ravi ha aggiunto che «è una persona che arriva al limite e poi sbotta». Una prova l’ha data ieri durante la requisitoria della procuratrice pubblica Chiara Borelli, quando la 41enne è intervenuta negando quanto sostenuto dall’accusa. Ravi ha poi ricordato una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che si è espressa sulla vicenda di Amanda Knox accusata in Italia di omicidio. I cittadini stranieri hanno diritto a una traduzione gratuita per poter beneficiare di un processo equo, ha detto. «Un diritto che il nostro codice di procedura ha recepito, ma che non implica il diritto di verificare la conformità della traduzione», ha fatto notare Ravi riferendosi alle difficoltà a livello di traduzioni durante la fase d’inchiesta. «Andrà tenuto conto nell’apprezzamento probatorio di alcuni atti. È difficile difendersi quando si viene sottoposti a lunghi interrogatori, è difficile per l’interprete stessa. Servono pause o anche la presenza di più interpreti». Nel caso della 41enne russa, Ravi spiega che i costi dell’interprete erano stati fatturati a lei. «Non ha nemmeno voluto farsi tradurre il verbale dibattimentale perché sfiduciata», ha aggiunto.

«Rivelare il terribile segreto avrebbe significato compromettere il futuro delle figlie». Durante l’arringa è intervenuta anche la collega di Ravi Luisa Polli. Contestando quando sollevato dalla sentenza di primo grado (il fatto che la donna non abbia mostrato pentimento), la legale ha chiesto alla Corte: «Può esserci pentimento in assenza di responsabilità? L’unico rimprovero che può esserle mosso è che ha saputo ciò che il marito aveva commesso, e ha taciuto. Ma ciò non è penalmente sufficiente a fare di lei un’assassina».

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