Bellinzonese

Rifiutò la chemio e morì: genitori a processo

Malata di leucemia, la giovane padovana Eleonora Bottaro si era rivolta anche allo Iosi di Bellinzona. Vane le insistenze dei medici

30 gennaio 2019
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I genitori di Eleonora Bottaro, la giovane padovana morta di leucemia all'età di 18 anni nel 2016 dopo aver rifiutato la chemioterapia nei vari ospedali cui si era rivolta – fra cui anche il San Giovanni di Bellinzona e una clinica della Val Calanca – saranno sottoposti a un processo per accertare eventuali responsabilità penali sul decesso della figlia. A stabilirlo la Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso presentato dai due stabilendo che entrambi andranno giudicati. Lino e Rita Bottaro, dunque, compariranno davanti al giudice monocratico  a partire dal 7 febbraio.

Cosa spiegò l'Istituto oncologico

All'Istituto oncologico della Svizzera italiana (Iosi) con sede a Bellinzona, ricordiamo, i medici si prodigarono per convincerla a sottoporsi alla chemioterapia, che lei rifiutò per tutto il periodo della degenza, terminata per sua decisione. La giovane accettò l’unico trattamento cui si era già sottoposta in Italia, iniezioni di cortisone. «Abbiamo ripetutamente cercato di farle capire che la cura prevista da noi era identica a quella di Padova e che il cortisone da solo non era in grado di farla guarire», aveva spiegato lo Iosi alla 'Regione' pochi giorni dopo il decesso. Lei, affiancata dai genitori, non aveva voluto sentire ragioni. «Dopo un mese di cortisone abbiamo fermato la somministrazione, pena il presentarsi di pesanti effetti secondari». Il ricovero a Bellinzona si è protratto per due mesi, da metà aprile a metà giugno 2016; quindi il rientro a Padova, dove secondo il legale della famiglia la 17enne è giunta “allegra e rifiorita”. Sbagliato: «In realtà, come previsto, i benefici provvisori del cortisone si sono ben presto esauriti – spiegava lo Iosi – e la malattia ha ripreso il decorso. Le abbiamo quindi consigliato di rientrare a Padova per farsi curare; ma ancora una volta il tutore nulla ha potuto contro le convinzioni dei genitori e della ragazza». In un comunicato l’Ente ospedaliero cantonale specificava allora di seguire i medesimi protocolli di terapia impiegati nei Paesi vicini e riconosciuti a livello internazionale: nel caso specifico “in nessun momento abbiamo proposto o seguito pratiche alternative senza legami scientificamente fondati nella cura di queste patologie”. Purtroppo, prosegue l’Eoc, “malgrado tutti i nostri sforzi, paziente e genitori hanno continuato a rifiutare” la chemio. Inoltre “tutte le persone coinvolte nella presa a carico, dai colleghi di Padova al nostro Servizio, si sono prodigate per cercare di far comprendere come, in assenza di cure adeguate, le possibilità di guarigione fossero nulle”.

 

Confrontata alla leucemia, l'allora 17enne decise di optare per il metodo Hamer, secondo cui la sua malattia sarebbe stata una conseguenza dalla morte prematura del fratello, deceduto nel 2013 per un aneurisma. Per questo, secondo i precetti del medico tedesco Ryke Geerd Hamer, la giovane sarebbe guarita semplicemente assumendo vitamine e recandosi da una psicoterapeuta. Anche i dottori italiani che l'avevano in cura – rammentano i media della Penisola – fecero di tutto per convincerla a sottoporsi a chemioterapia, metodo che avrebbe dato speranze di guarigionea. Di fronte ai rifiuti della ragazza, all'epoca ancora diciassettenne, venne effettuata una segnalazione al Tribunale dei Minori, che mise Eleonora sotto la sorveglianza di un tutore. Neppure quello servì: la giovane continuò a rifiutare le cure perché si fidava del parere dei suoi genitori, convinti sostenitore del metodo Hamer.

Il padre e la madre sono quindi stati indagati per omicidio colposo con l'aggravante della previsione del fatto, quindi scagionati dal giudice per l'udienza preliminare, secondo cui Eleonora era in grado di decidere autonomamente. A questa decisione si è opposta il pubblico ministero Valeria Sanzari, secondo cui Lino e Rita Bottaro impedirono a Eleonora di fare una scelta libera. Oora, come aveva già stabilito la Corte d'Appello, la Cassazione ha deciso che il processo si deve fare.

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