Bellinzonese

Il criminologo di Sementina che ha risolto il delitto Macchi

Intervista al dottor Franco Posa sul suo contributo nell'inchiesta varesina sfociata ieri nell'ergastolo di Stefano Binda, omicida 31 anni fa di Lidia Macchi

Il dottor Franco Posa (Ti-Press Crinari)
25 aprile 2018
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«L’ergastolo dato ieri dal Tribunale di Varese all’omicida della studentessa Lidia Macchi 31 anni dopo i fatti, mi ha cambiato la vita». A parlare, dal suo studio di Sementina dove lavora come medico, attorniato dai faldoni dell’inchiesta riaperta quattro anni fa e culminata nella condanna di Stefano Binda con l’aggravante della violenza sessuale, è il dottor Franco Posa. Coordinatore dell’International Forensics Consulting Team (Ifct) con sede a Bellinzona e attivo in vari Paesi, nel 2014 era stato coinvolto dalla Magistratura varesina «che ha creduto nel contributo delle neuroscienze forensi criminali per risolvere casi vecchi di anni. E quello di Lidia Macchi è senza dubbio uno dei più importanti ‘cold case’ risolti in Europa».

'Di sola attività forense non si vive'

Andiamo con ordine. Perché un medico che ha lo studio privato nel Centro Somen per anziani di Sementina dovrebbe contribuire a risolvere vecchi delitti? «Abito a Bellinzona – ci spiega il dottor Posa – e con l’attività forense capita di non guadagnare abbastanza per vivere, perciò a tempo parziale faccio anche il medico. A ogni modo, il delitto Macchi ha assorbito quasi ogni mia energia e il fatto che il Tribunale abbia confermato la tesi dell’Accusa è per me un enorme motivo di soddisfazione».

La chiave di volta in Comunione e Liberazione

Lidia Macchi era una studentessa ventenne di giurisprudenza quando il 7 gennaio 1987 venne trovata morta nel bosco di ‘Sass Pinì’, sopra Cittiglio, Comune del Varesotto. L’autopsia aveva stabilito che 20 minuti prima di venire accoltellata 29 volte nella propria vettura, aveva avuto il suo primo rapporto sessuale. Mai trovata l’arma del delitto. Le indagini erano state archiviate dopo aver scavato nell’ambiente di Comunione e Liberazione, movimento religioso di cui la giovane faceva parte insieme al suo omicida, ex compagno di liceo e dipendente dall'eroina sin dall'età di 16 anni. Lui l’amava, lei era titubante. E proprio fra quei giovani ciellini di allora, si è materializzata quattro anni fa la chiave di volta. Un’amica della vittima, vedendo pubblicata sui giornali una lettera anonima recapitata il giorno dei funerali in casa Macchi, ha riconosciuto la calligrafia di Stefano Binda. La lettera conteneva una poesia intitolata “In morte di un’amica”. Ossia la descrizione della scena del delitto.

'Non sai cosa ho fatto...'

La donna si è quindi decisa a segnalarlo alla Questura riferendo anche una frase che lui le aveva sussurrato all’orecchio durante il funerale. Il dottor Posa la ricorda bene: “Non sai che cosa ho fatto. I miei occhi hanno visto cose che nessun altro ha mai visto”. Il motivo per cui quell’amica della vittima si sia decisa a parlare solo dopo tanti anni, spiega il criminologo forense di Bellinzona, «credo sia da ricondurre all’ambiente di CL». Come in altre corporazioni, «in quel periodo le persone che vi aderivano erano tenute al rigoroso rispetto delle regole. Chi sgarrava rischiava di vedere compromesse famiglia e vita professionale».

Le nuove indagini

Ma una frase sussurrata, la calligrafia di una lettera anonima, non bastano per far scattare le manette ai polsi del Binda il 15 gennaio 2016. «Fondamentale, prima e dopo l’arresto, è stato il nostro lavoro di ricerca criminologica che ho svolto in collaborazione con la pm Carmen Manfredda. In particolare, mi sono occupato di ricostruire la scena del crimine, in località ‘Sass Pinì’, e i faldoni d’inchiesta che erano stati a suo tempo abbandonati e in parte anche distrutti». Vari elementi hanno portato a incastrare l’omicida: «Siamo riusciti a collegare il significato della poesia “In morte di un’amica” col soggetto che poteva aver ucciso la ragazza. Inoltre una perizia calligrafica ha stabilito che a scriverla era stato proprio Stefano Binda. Peraltro, i fogli su cui era scritta appartenevano sicuramente a un suo quaderno trovato in casa».

La salma riesumata e riesaminata

Impossibile esporre ora tutti gli elementi, conclude il dottor Posa: «In Corte di Assise la mia audizione è durata 9 ore». Fra quelli più importanti provengono dal cadavere della povera Lidia Macchi: «Riesumato, ha fornito tutta una serie di elementi inediti. Ad esempio il patologo precedente sosteneva che la giovane sarebbe stata uccisa altrove, quindi non nel luogo in cui è stata ritrovata. Noi, rianalizzando tutto quanto, anche le macchie di sangue e le impronte da lei lasciate nella propria vettura, abbiamo sostenuto il contrario. Un’impronta in particolare, lasciata sul sedile, indica il suo tentativo di divincolarsi e scappare. Tutto ciò si pone in linea con la testimonianza di chi la notte del 5-6 gennaio 1987 ha visto l’auto del Binda posteggiata a Cittiglio», mentre lui ha sempre sostenuto di trovarsi a sciare con CL in Piemonte.

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