Bellinzonese

L’armata fa rivivere la Val Cama

Al lavoro, in un angolo di paradiso
(Gabriele putzu/Ti-press)
28 giugno 2016
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A tre anni dalla frana che colpì l’Alp de Lagh, la conca a quota 1’300 metri è di nuovo in sicurezza. Da domani, con la fine del corso di ripetizione degli 8 militi spalleggiati da un operaio, si potrà voltare pagina.

Una trentina di chili di esplosivo ‘in foro’ armeggiato, nel corso di tredici giorni (effettivi) di lavoro, da sei militi supportati da un operaio all’Alp de Lagh. Un intervento delicato, che sarà portato a compimento dagli uomini del battaglione d’aiuto in caso di catastrofe 3 domani, e che consentirà di rimettere in sicurezza questo gioiello della Val Cama e con esso il progetto di valorizzazione avviato 12 anni or sono che era stato sepolto dalla frana staccatasi nel luglio di tre anni fa, spezzando la vita di una mamma alpigiana. Un attimo di tregua ieri mattina per i nove militari impiegati in un corso di ripetizione, per la presentazione alla stampa dei lavori compiuti. I due massi che hanno sfiorato il cascinale, di 280 e 120 metri cubi, sono ora quasi in frantumi. Dopo i sondaggi, utili a capire la compattezza delle rocce volate dalla montagna (gli esperti non hanno trovato segni di rotolamento), i soldati agli ordini del maggiore Franco D’Andrea attaccano i massi armati di perforatrice a rivoltella. Da una parte si prosegue a mano con i cunei spaccasassi, nei buchi sull’altro lato si infila l’esplosivo. Si lavora ripartiti in tre gruppi.
Le pietre più belle ricavate dal sezionamento dei macigni, alti quanto il cascinale abitato, vengono messe da parte, le altre (ancora riutilizzabili) vanno a comporre una ripiena ai piedi della frana, un piccolo riparo semmai dovesse riattivarsi. Da un punto di vista geologico, ci assicurano, la parete è considerata sicura (“area a rischio residuo”), non si prevedono altri importanti movimenti, né si pensa a sonde. Ancora giovedì, come ci raccontano i soldati, è però stato avvertito qualche sasso rotolante. Il materiale considerato di maggiore pregio servirà nella costruzione di una “tettoia multifunzionale” con: spazio mungitura, locale tecnico, spaccio di vendita dei prodotti dell’alpe (caricato da una ventina di mucche, un’ottantina di capre e due maiali) e ancora una cantina, servizi e una legnaia. Costo preventivato a 300mila franchi.
L’impiego dell’esercito in situazioni simili, ha spiegato il colonnello Moreno Monticelli, dipende da una serie di condizioni: i soldati possono venire in soccorso dei Comuni (Verdabbio avrebbe avuto grandi difficoltà ad accollarsi i costi) solo se non entrano in concorrenza con le imprese private (per l’Alp de Lagh è stata richiesta una liberatoria da parte della Società impresari costruttori e delle ditte di trasporto in elicottero); l’armata deve poi trarre diretti benefici dall’operazione nell’istruzione dei propri militi. In questo caso, ha precisato Monticelli, è stato decisivo il ricorso obbligato a esplosivi. Sono vari anni ormai – è stato rilevato – che la truppa del genio non era più sollecitata in simili esercizi. Per queste ragioni Berna, ossia la regione territoriale 3 delle Forze terrestri, ha detto sì al Comune di Verdabbio, alle operazioni a quasi 1’300 metri di quota. Silvio Guggiari, ingegnere agronomo al fronte in qualità di primo tenente e responsabile di cantiere della Compagnia zappatori 3/4 (un ufficiale, 2 sottufficiali e 5 soldati), raggiunto in SuperPuma dai giornalisti, ha dal canto suo ribadito (riprendendo il discorso di D’Andrea) lo spirito di squadra tra i giovani in divisa, il meglio delle rispettive sezioni, chiamati a operare in montagna senza rete telefonica (si faceva capo agli apparecchi satellitari) con escavatori e altri attrezzi. Una missione da compiere in tutta sicurezza, senza il ferimento di nessuno (molto pericolosi in questo senso i movimenti dei macigni dopo ogni singolo brillamento che necessitavano una nuova stabilizzazione dei massi e un conseguente riposizionamento dei ponteggi); e anche senza arrecare danni alle costruzioni esistenti (per questo si è protetto il cascinale con una parete di legno). A complicare il quadro la conformazione delle rocce, come spiegatoci da Guggiari facendo riferimento alle venature del sasso ma anche alle conseguenze sui macigni del violento staccamento dalla montagna. Per alcuni militi è stata l’occasione di aggiornare il brevetto degli esplosivi. Fondamentale per l’allestimento del campo in quota anche una certa dimestichezza sul piano della logistica. Per il trasporto del materiale si è scelto, come logico, di far capo agli elicotteri, ma ecco che è stato necessario improvvisare una piazza d’atterraggio per l’utilizzo degli elicotteri SuperPuma.
 

Antonio Spadini: ‘Il nostro progetto salvato dalla solidarietà’
Quella montagna incute ancora paura. Timore, o forse è più giusto parlare di rispetto verso la natura, sentimenti che traspaiono dagli occhi di Antonio Spadini, sindaco di Verdabbio, che ha voluto confortare la comunità con la sua presenza personale sull’Alp de Lagh a poche ore dalla tragedia di quel venerdì 26 luglio 2013, e che non ha mai smesso di credere nel concetto di sviluppo paesaggistico elaborato una decina di anni or sono per questa valle laterale incuneata tra i Comuni Cama e Verdabbio (che conta la selva castanile più alta della Val Mesolcina), con i 2,8 milioni di franchi investiti nei primi anni all’Alp de Lagh (per il recupero del cascinale e aggiunta del caseificio) ma non solo. Spadini chiarisce, a pochi giorni dal voto sulla legge fiscale e sullo statuto del nuovo Comune dalla fusione con Grono e Leggia, che la rinascita della Val Cama è stata avviata da Verdabbio: «Abbiamo cominciato con i primi interventi, preliminari, di messa in sicurezza nel 2014; poi l’anno successivo abbiamo deciso come muoverci. E ora eccoci qui. Grazie al supporto dell’esercito e ai diversi enti che ci hanno sostenuto, come il Patronato svizzero per i Comuni di montagna». Dalle sue impressioni emergono due sentimenti, contrastanti. Da una parte – confida – la ferita rimane e ci vorrà ancora del tempo a rimarginarla completamente. Dall’altra parte c’è però la fiducia, alimentata dalle risposte ottenute nel momento del bisogno: una grande solidarietà, finanziaria, ma non unicamente. «Fa parte dei valori che restano immutati nel nostro Paese, che non possono che far bene a cause come la nostra».

 

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