Inchieste

La riabilitazione – Studio, lavoro, visite, lo sguardo va al ‘dopo’

Il laboratorio delle targhe
(Gabriele Putzu)
30 maggio 2015
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Salvagenti, piccole boe alle quali appoggiarsi durante la traversata che segue una prima parte del viaggio durissima: quella nel carcere giudiziario della Farera.

I diversivi in grado di allentare la pressione sui detenuti in regime ordinario, alla Stampa, non mancano, perché secondo lo stesso Codice penale svizzero la pena deve avere un carattere riabilitativo e preparare dunque al rientro nella società civile. Così degli “spazi” oggettivamente limitati assumono un valore soggettivo enorme. Come le 7 ore di colloquio concesse mensilmente, più l’incontro gastronomico – in saletta riservata, ma videosorvegliata – che permette di ritrovare frammenti di intimità conviviale con i congiunti; come i momenti di condivisione fra padri e figli, mediata dagli assistenti sociali, che possono aver luogo nella struttura denominata Pollicino se sono ottemperate determinate condizioni soprattutto in relazione alla tipologia del reato commesso (un’opportunità, questa, subordinata ai preavvisi del Servizio medico e dell’Ufficio dell’assistenza riabilitativa e a una decisione finale da parte della Direzione del carcere).

Si tratta di boccate di ossigeno puro in un contesto in cui la stessa azione del respirare può talvolta risultare difficoltosa. Ossigeno come la massiccia offerta di opportunità di studio (con la scuola In-Oltre) e naturalmente di lavoro: un diritto-dovere che è il vero, concreto aggancio con la realtà esterna. Il carcere offre posti di lavoro per 122 detenuti. Si tratta di occupazioni che servono in primis alla gestione interna delle strutture (lavanderia, pulizia degli spazi comuni dei piani – i cosiddetti “scopini” – e cucina). A queste occupazioni vanno aggiunte quelle degli “atelier” di falegnameria, legatoria e stamperia (che contemplano anche, unitamente alla cucina, una formazione professionale vera e propria), i lavori in “outsourcing” per una fabbrica di giocattoli, la lavorazione del vetro, la stampa delle targhe per il Cantone, le riparazioni interne, il recupero di materiale dagli hard-disk e – per i detenuti a fine pena della sezione aperta – la possibilità di partecipare alle attività agricole svolte a Muzzano dall’Associazione L’Orto. Il tutto per una paga media di 3 franchi e 50 all’ora. Da essa vanno dedotte una partecipazione ai costi di mantenimento e una parte di risparmio personale che tornerà utile al momento della rimessa in libertà. Tutto ciò si situa sotto il grande cappello del Piano esecutivo della sanzione (il Pes, si veda anche l’articolo sotto), una “piattaforma” che definisce un obiettivo personale e con esso il percorso di ogni singolo detenuto in seno alle strutture carcerarie; «percorso che parte sempre dalla comprensione e dall’accettazione del reato commesso – nota il direttore delle strutture carcerarie, Stefano Laffranchini –. In questo senso è fondamentale il ruolo degli agenti di custodia, degli assistenti sociali e quello dei 4 rappresentanti religiosi a disposizione dei detenuti per un appoggio spirituale: il prete cattolico, quello ortodosso, il pastore protestante e l’imam musulmano».

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