Locarno

'Chiedevo una seconda chance. Mi hanno buttato fuori dalla Svizzera dopo oltre 30 anni'

Permesso negato
(©Ti-Press / Carlo Reguzzi)
17 ottobre 2017
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«Se sei straniero non ti danno una seconda possibilità. Ti mandano la polizia a casa e ti rispediscono al tuo Paese. Non basta aver voglia di rifarti una vita e di lavorare. Non guardano in faccia a nessuno». È un 50enne amareggiato (la cui identità è nota alla redazione) quello che ha deciso di raccontarci la sua storia, documenti alla mano. Per lui, nei giorni scorsi il foglio di via, ma ancora fa fatica a comprendere perché si deve reinventare una vita in Italia, da dove è assente da quasi 35 anni.
La sua è una vita come tante, fra alti e bassi. «Sono arrivato in Svizzera poco più che adolescente e ho sempre vissuto e lavorato qui, tranne una pausa di quattro anni. Mi sono sposato una prima volta con una donna svizzera, dalla quale ho avuto due figli, oggi maggiorenni, entrambi con il passaporto rossocrociato».
Più avanti c’è stato il divorzio e più avanti ancora il licenziamento per la cessazione dell’attività di un noto locale pubblico in Piazza Grande, presso il quale lavorava a tempo pieno da sette anni. «Sono andato in disoccupazione e sfortuna vuole che dopo pochi mesi mi sono ammalato, perdendo l’indennità dovuta ai senza lavoro. Mi è toccato rivolgermi all’assistenza. Un periodo nero. Tra cassa malati, assegni di mantenimento per i figli e altre spese ho accumulato debiti». Il totale per le prestazioni assistenziali è elevato: circa 60mila franchi. Più una lunga serie di attestati carenza beni. Una situazione allarmante, della quale l’intervistato è cosciente. Vorrebbe uscirne in qualche modo. Perciò decide di voler mantenere il permesso B di dimora. Mentre la procedura per l’esame della richiesta è in corso, il nostro interlocutore si risposa; un secondo matrimonio, sempre con una cittadina svizzera.
Trova pure un lavoro a metà tempo, con un reddito (attorno ai 1'700 franchi netti al mese) che tuttavia non gli concede molti spazi di manovra. La volontà di rialzare la testa c’è, assieme al sostegno – che non è mai mancato – dei suoi molti amici locarnesi. Tante persone che, con la moglie e gli altri suoi familiari, costituiscono il centro dei suoi affetti racchiuso all’interno dei confini ticinesi.
Tutto ciò non basta. Le buone intenzioni non riempiono il conto in banca, che resta vuoto, e la doccia fredda non tarda ad arrivare. Il permesso B gli viene negato a causa dei debiti e un ricorso non dà i frutti sperati. Il 3 agosto scorso gli è stato comunicato l’ordine di lasciare il Paese entro il 3 ottobre, abbandonando lavoro e moglie. Moglie che, economicamente, non naviga in buone acque e che quindi non può garantire per lui. Il 4 ottobre la polizia si presenta sulla porta di casa e, gentilmente, gli intima il foglio di via. Lo stesso giorno la partenza e lo spostamento del domicilio a casa di un fratello in Italia. Ora, a 50 anni suonati, deve ricominciare tutto da capo.
L’Ufficio della migrazione, nella lettera del 3 agosto scorso, non gli aveva concesso sconti: “Rileviamo che lei presenta una grave situazione debitoria e che la prognosi per il futuro relativamente alla sua situazione finanziaria dev’essere pertanto negativa”. Una frase pesante.
«Come faccio a provare che non è così?», è la domanda conclusiva. «Come faccio a far capire che, essendo abile al cento per cento, vorrei poter svolgere un impiego a tempo pieno, saldando il debito accumulato, un po’ per volta, giorno per giorno? Ora che sono tornato in Italia non avrò più possibilità di rimborsare nemmeno un franco di quei soldi anticipatimi dall’assistenza. Se avessi potuto restare, sarebbe stato meglio anche per lo Stato, che qualcosa avrebbe incassato». Ma così non sarà, perché lo Stato ha già deciso e tagliato corto: “La prognosi per il futuro dev’essere negativa”.

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