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Crescere un paradosso in giardino

4 dicembre 2017
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Giornata di primavera:
si perde lo sguardo in un giardino
largo tre piedi.
Questo haiku di Masaoka Shiki (1867-1902) ci introduce al paradosso del tipico giardino giapponese di tradizione buddhista, talvolta concepito in pochi metri, ma per creare l’illusione di uno spazio infinito che si perde al di là dello sguardo, attraverso particolari tecniche di trompe-l’oeil: dei veri e propri “dipinti” paesaggistici eseguiti con materiali reperibili in natura, come rocce e piante via via più piccole e dal fogliame più scuro e minuto.
Di ascendenze cinesi, quando presso le corti dei nobili giapponesi era d’obbligo abbigliarsi in costumi cinesi, recitare versi cinesi all’interno di fedeli riproduzioni di palazzi cinesi, la finalità di questo giardino era soprattutto paesaggistica (come in Occidente) e l’illusione era sottolineata da una certa voluta incuria nella disposizione delle rocce e delle piante, quasi a volerne suggerire la casualità naturale. E non è un caso che questa illusorietà abbia colpito soprattutto l’immaginario visivo dei nostri pittori impressionisti.
Ma un paradosso ancora più grande è costituito da un altro tipo di giardino, tipicamente di derivazione zen, soprattutto nella sua versione “arida” con sabbia e rocce: il karesansui, la cui massima espressione è costituita dal Ryoanji di Kyoto. L’idea stessa di un giardino senza piante è un paradosso, ma non è il solo: un giardino solitamente è qualcosa che muta con le stagioni e con gli anni. Le sue piante crescono, fioriscono, muoiono. È qualcosa che fluisce nel tempo. Il karesansui è invece pura atemporalità. Le linee tracciate nella sabbia e i cerchi concentrici intorno alle rocce danno l’illusione del movimento che viene immobilizzato come in una fotografia scattata in un millesimo di secondo. Il tempo è un’illusione. Non è un paradosso, perciò, se al primo haiku risponde, due secoli prima, quello di Uejima Onitsura (1661-1738):
Giornata di primavera:
nel giardino il passero
prende un bagno di sabbia.
Concepito per la meditazione e, talvolta, per far da contorno alla cerimonia del tè, il giardino giapponese racchiude in sé poesia, pittura, architettura, precisione matematica, astrazione religiosa e filosofia. Tutti questi aspetti sono visivamente e concettualmente trattati nello splendido libro che vi consigliamo di regalare questo Natale: Il giardino giapponese, di Sophie Walker. L’autrice, progettista di giardini, si fa accompagnare nei testi da grandi esperti come Tadao Ando, Anish Kapoor, Marcus du Sautoy. Non è un libro illustrato, non è un saggio, non è uno splendido oggetto rilegato alla giapponese: è tutte queste cose insieme, da far crescere nel giardino dei vostri libri.

Il giardino giapponese
di Sophie Walker
Phaidon-L’Ippocampo, 2017
304 pagine

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