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Robotica, chi è in carrozzella può tornare a camminare 

11 settembre 2017
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Protesi bioniche indossabili che consentono a chi ha perso l’uso delle gambe di mettersi in piedi e camminare. Robot riabilitativi che fanno fisioterapia. Letti intelligenti e badanti robot... L’intelligenza artificiale sempre più al servizio della sanità con robot indossabili per terapia e assistenza. In futuro chi ha subito una lesione al midollo spinale, tra robot riabilitativo e cure, si rimetterà in meno tempo. Sarà davvero così? Tra 20 anni saranno i robot a fare diagnosi mediche, fisioterapia, a cambiarci le medicazioni? Manderanno in pensione le sedie a rotelle? Tra realtà e fantascienza a che punto è la ricerca?  Ce lo spiega il professor Robert Riener, esperto di sistemi senso-motorici, biomeccanica, realtà virtuale, riabilitazione robotica. Il professore che insegna al Dipartimento di tecnologia e scienza medica del Politecnico federale di Zurigo (Eth) mette subito le mani avanti: «Con la robotica non siamo così avanti come tanti pensano, ci sono ancora molti problemi da risolvere», spiega.

Quanto aiuta la robotica in medicina? «Ci sono robot usati in chirurgia come il Davinci, non sono autonomi, ma azionati dal medico. In Giappone ci sono robot infermieri, che riescono a intrattenere, giocare o sollevare un paziente. All’Eth abbiamo sviluppato un letto intelligente, si muove come una culla, favorisce un sonno veloce e profondo: è utile agli insonni».

Nella riabilitazione quali sono le applicazioni della robotica: che cosa si progetta nei laboratori? «Le macchine per la riabilitazione sono suddivise in due gruppi – terapia e assistenza – e noi lavoriamo su entrambi i fronti. Progettiamo robot che aiutano a fare terapia, come allenare l’arto con movimenti ripetitivi. E macchine che assistono il paziente, ad esempio l’esoscheletro: una protesi indossabile che, grazie ad un motore, consente a chi ha perso l’uso delle gambe di rimettersi in piedi e camminare. È una struttura robotica che sostiene il corpo dall’esterno ma non sostituisce ancora la sedia a rotelle».

Quali sono i limiti di questi robot? «Esoscheletri e protesi in commercio sono lenti e pesanti, anche piuttosto costosi, inoltre la batteria dura solo qualche ora, mentre chi li indossa necessiterebbe un uso quotidiano o alternativo alla sedia a rotelle in alcune attività».

Le priorità per la ricerca quali sono?  «Sicuramente migliorarne l’ergonomia: le protesi si portano sopra i jeans, devono essere piacevoli da indossare, quindi più leggere. Chi usa gli esoscheletri non vuole manovrarli con un joystick. Non è semplice trasmettere dal cervello alla macchina ogni desiderio di movimento. C’è molta ricerca da fare per migliorarli. Siamo molto lontani dall’idea di sostituire la funzionalità di un corpo con un robot».

Infine, ci spiega quale è l’utilità del robot-terapeuta se ci sono già fisioterapisti?  «Il robot collabora col terapeuta, perché in casi di danni cerebrali per reimparare e recuperare la mobilità di un arto bisogna fare una terapia intensiva: significa esercizi quotidiani, ripetuti a lungo, più volte al giorno e con movimenti veloci. I robot sono una soluzione per aiutare il paziente a fare esercizio, vengono già impiegati in varie cliniche. Non è pensabile che i fisioterapisti seguano così intensivamente un paziente».