
Sessantotto pagine per motivare una sentenza non affatto scontata. Anzi, che al suo pronunciamento – lo scorso fine gennaio – ha persino sorpreso (piacevolmente, dato l’esito a suo favore: scagionato) lo stesso imputato, Luca Sala, 53 anni, cittadino italiano, ex manager della filiale milanese di Bank of America (BofA), finito sotto inchiesta nel marzo 2004 per riciclaggio aggravato, falsità in documenti e corruzione attiva. Un filone giudiziario parallelo al ‘caso Parmalat’, ovvero il crack finanziario che all’epoca dei fatti mise in ginocchio il gigante alimentare italiano. A sei mesi dalla sentenza, dunque, la Corte del Tribunale penale federale, presieduta dal giudice Giuseppe Muschietti, ha pubblicato le motivazioni che ribadiscono, in buona sostanza, quanto già anticipato dal presidente lo scorso 30 gennaio.
In particolare la Corte si è convinta che “agli atti non vi sono riscontri che militano per la conoscenza, o comunque la presunzione, in capo a Sala, del fatto che gli organi della società del gruppo Parmalat avessero potuto porre in essere – da soli o di concerto con lo stesso Sala – le condotte distrattive descritte nel decreto che dispone il giudizio del giudice per le indagini preliminari di Parma, di cui all’atto d’accusa”. Secondo i giudici del Tpf, dunque, l’ex manager non era conoscenza della reale situazione finanziaria di Parmalat e men che meno delle vicende poi contestate dagli inquirenti italiani. Ed è questa la sostanza del verdetto che ha condotto all’assoluzione dell’imputato, salvo la condanna per un caso di “istigazione in falsità in documenti” non legato alla vicenda Parmalat, nonché l’abbandono per la caduta in prescrizione di altri episodi contestati.I giudici sono ancora più espliciti: “Non vi sono riscontri circa la conoscenza – nel senso di dolo diretto o indiretto – da parte di Sala del fatto che i denari pervenuti in Svizzera potessero essere frutto di negozi, in particolare di polizze assicurative concluse allo scopo precipuo di arrecare nocumento finanziario alle società del gruppo Parmalat” scrivono ancora i giudici del Tpf. E più avanti si aggiunge che “questo Collegio ha raggiunto il convincimento che Sala né sapesse né dovesse presumere che i valori patrimoniali pervenutigli, di cui all’atto d’accusa, potessero essere di riconduzione criminale”. Caduti sostanzialmente tutti i capi d’accusa (con le eccezioni sopra descritte), la Corte del Tpf ha riconosciuto 335’894 franchi a titolo d’indennità per le spese sostenute – il collegio difensivo è composto dagli avvocati Daniele Timbal, Aurelia Schröder, Andrea Soliani e Jürg Wernli – e 21’400 franchi, più gli interessi, come riparazione del torto morale. Assai probabile il ricorso al Tribunale federale di Losanna da parte del procuratore federale Stefano Herold, come già riferito il giorno della sentenza dal diretto interessato.