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Del Ponte, Putin e la giustizia internazionale

Come per il dittatore siriano Assad, la ex procuratrice chiede di processare il presidente russo per crimini di guerra

(Ti-Press)
16 aprile 2022
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Marzo 2017. Carla Del Ponte, in qualità di componente la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria, accusa il presidente siriano Bashar al-Assad di "gravi violazioni del diritto internazionale umanitario". Dal 2011, da quando cioè la feroce repressione del dittatore ha fatto abortire un tentativo di primavera araba in Siria, Assad si è dimostrato "uno dei peggiori criminali", lo inchioda il rapporto dell’ex magistrata ticinese. Il presidente siriano, come è stato il caso per Milosevic, Mladic e per altri efferati protagonisti della guerra civile nell’ex Jugoslavia, dovrebbe comparire davanti al Tribunale penale internazionale (Tpi) dell’Aja, dove Carla Del Ponte ha svolto il ruolo di procuratrice. Eppure è sempre in sella a Damasco, ha perso sì fette di territorio, ma grazie al sostegno di Putin e all’Occidente, Stati Uniti in testa, che ha guardato dall’altra parte, sta tornando pian piano a essere un interlocutore. Almeno in Medio Oriente.

Putin, si diceva, verso il quale dopo l’invasione dell’Ucraina si sono rivolte l’attenzione e l’indignazione di Carla Del Ponte che, pur non ricoprendo più alcun ruolo istituzionale, ma forte della sua autorevolezza, continua a chiederne come per Assad un processo per crimini di guerra. C’è il rischio che anche per l’autocrate russo non se ne farà nulla. La prospettiva di finire per lottare contro i mulini a vento, di ritrovarsi come ai tempi dell’Aja di fronte a interlocutori doppio se non triplogiochisti, non scoraggia l’ex procuratrice del Tpi, animata da un sincero senso di giustizia. Anche a costo di dover sbattere il muso con una realtà più attenta agli interessi della ragion di Stato che a perseguire i criminali.

Esemplare, al riguardo, quanto lei stessa scrive nella sua autobiografia "La caccia", citando un tempestoso colloquio avvenuto nel 2001 a Washington con l’allora direttore della Cia, George Tenet. Con il quale Carla Del Ponte lamentò uno scarso coordinamento dei servizi segreti occidentali per catturare l’ex presidente serbo Radovan Karadzic e il boia di Srebrenica, Ratko Mladic. "Guarda Madame, che di quello che pensi tu non me ne frega un cazzo", la brutale risposta con cui Tenet la liquidò. Il che non impedì a Carla Del Ponte di mantenere salda la sua fiducia nella giustizia internazionale.

Certamente il suo metodo diretto, il suo stile che non faceva sconti a nessuno, non sempre la agevolò. Il suo maestro, Giovanni Falcone, era probabilmente più sottile, più consapevole di quando fosse il caso di non affondare i colpi. Non a caso evitò di imbarcarsi in un processo a Giulio Andreotti. Lo fece Giancarlo Caselli e lo perse. Falcone, tuttavia, nuotava in un mare di cui conosceva da sempre i pesci, Carla Del Ponte arrivò in un amen dalla Procura di Lugano a quella dell’Aja. Un conto è avere a che fare con il comandante della Polizia cantonale, un altro dover affrontare il direttore della Cia. Fatto sta che il mondo delle persone per bene deve alla sua tenacia la cattura di Milosevic, un vero e proprio punto di svolta nella più recente storia europea. Se dunque oggi Carla Del Ponte non si stanca di dare del criminale a Putin, appoggiamo la sua battaglia e rendiamo onore al suo coraggio.

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