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‘Accoglierli col lavoro. L’urgenza non è farli ripartire’

Unia e Ocst sulla necessità di integrare i rifugiati ucraini alle stesse condizioni professionali dei residenti per non aumentare dumping e precarietà

Davanti al Centro federale di asilo di Chiasso

«Sarebbe vergognoso se si volessero già costruire adesso le condizioni perché queste persone una volta finita la guerra ripartano il più rapidamente possibile dando loro solo impieghi precari. È nel precariato che si nascondono le disuguaglianze e i rischi di violazione dei contratti e delle leggi che vanno a discapito di tutti: dei profughi, del mondo del lavoro e di chi oggi cerca un impiego e sarebbe confrontato con una concorrenza sleale». Quelle di Giangiorgio Gargantini, segretario regionale Unia Ticino, sono considerazioni di segno opposto rispetto alle affermazioni di chi, dalle fila della Lega di Ticinesi, sostiene che qualsiasi forma d’inserimento professionale delle persone fuggite dal conflitto in Ucraina e approdate nel nostro Paese dovrebbe essere tendenzialmente di tipo temporaneo anche per scongiurare sostituzioni di personale residente e di dumping salariale.

«Fragilizzare i profughi per essere sicuri che non restino in Svizzera, come se l’urgenza ora fosse quella di farli ripartire appena possibile, è pericoloso – afferma Gargantini –. Potrebbe sembrare una soluzione ma al contrario sarebbe un peggioramento molto grave della situazione». Per il sindacalista di Unia il rischio di dumping e l’argine da consolidare per contenerlo sono altri: «Lo diciamo chiaramente prima che a qualcuno venga in mente di proporre delle deroghe ai contratti per facilitare l’integrazione sul mercato del lavoro di queste persone: chi sarà accolto dovrà esserlo alle stesse condizioni che valgono per tutti, quindi nel rispetto dei contratti collettivi, delle regole e delle leggi, in modo da non creare distorsioni». Quanto alle prospettive rispetto a una possibile riconfigurazione del mercato del lavoro locale, per Gargantini è difficile fare delle previsioni di dettaglio: «Siamo confrontati a delle partenze non volontarie di un’intera popolazione per cui potenzialmente potrebbero arrivare persone con ogni tipo di profilo, sia qualificate che non, e da ogni ramo professionale». In questo momento a scappare e a giungere alle nostre latitudini sono principalmente donne, bambini e anziani: «L’urgenza attuale è a livello di accoglienza di chi arriva e d’inserimento scolastico dei bambini, questo anche perché se si vuole facilitare l’entrata nel mercato del lavoro delle donne bisogna occuparsi dei figli». Cercando comunque di fare delle previsioni, per Gargantini «si può immaginare che due settori che potrebbero essere sollecitati sono quelli delle cure e della ristorazione. Oltre a questi, sappiamo anche che ci sono dei rami dell’industria maggiormente sviluppati in Ucraina. Lo scenario però dipenderà dalla durata del conflitto, da chi arriverà e cercherà lavoro». Ciò che non va fatto, per il segretario regionale di Unia, è ragionare in termini di «sopperire a determinate mancanze del nostro mercato del lavoro o cercare di curarlo con questi arrivi. L’obiettivo deve essere di aiutare le persone nel bisogno e al contempo di non creare ulteriori squilibri».

Prioritari i corsi di lingua

Anche per il segretario cantonale Ocst Renato Ricciardi fare delle previsioni in questo momento è prematuro e non semplice. «Il permesso S concesso a queste persone che stanno scappando dalla guerra permetterà loro di esercitare un’attività professionale nei settori in cui già erano impiegate in Ucraina o in altri in cui ci dovesse essere bisogno». Basandosi su quanto già successo in passato, il segretario regionale Ocst ipotizza che uno degli ambiti più sollecitati potrebbe essere quello che impiega personale sanitario. «In occasione della guerra in Jugoslavia erano arrivate diverse persone con competenze nel settore sanitario che si erano inserite nel mondo del lavoro ticinese. Se ciò dovesse nuovamente riproporsi, potrebbero anche stavolta trovare posto negli istituti sociosanitari del cantone. È accaduto in passato e non è improbabile che riaccada». Per Ricciardi ci sono poi altre possibilità che potrebbero nascere: «Penso al settore industriale e a quello legato all’artigianato. Ma tutto dipenderà dall’evoluzione della situazione». Quanto al rischio di dumping, per il sindacalista Ocst «è una realtà esistente già adesso. Ci sono settori con salari da sfruttamento dei lavoratori, e non c’era bisogno dell’arrivo dei profughi per constatarlo. Però non vedo un accresciuto rischio in questo senso, a patto che i datori di lavoro si comportino in modo serio». Stando a Ricciardi non sembra dunque prospettarsi una situazione allarmante. «Date alcune condizioni per un’integrazione professionale, penso che le competenze di queste persone possano essere un apporto positivo e costruttivo. Trovo intelligente avvalersi delle loro capacità professionali anche per l’economia del nostro cantone». Tra le condizioni accennate, prioritaria risulta quella dell’apprendimento delle nozioni minime dell’italiano. «Come sindacato, nel momento attuale siamo principalmente preoccupati affinché queste persone possano accedere a dei corsi di lingua italiana. Per comunicare e capire come svolgere il proprio lavoro in Ticino, la conoscenza base dell’italiano è il primo requisito che permetterà un’integrazione sociale e nel mondo del lavoro di queste persone».

La Divisione dell’economia: ‘Pronti per un grande afflusso, che ora non c’è’

«Al momento non si riscontrano iscrizioni presso gli Uffici regionali di collocamento. La situazione è però in evoluzione, per questo motivo rimaniamo in costante contatto con l’autorità federale e con i servizi cantonali preposti per l’accoglienza». Così Stefano Rizzi direttore della Divisione dell’economia a proposito dell’arrivo dei rifugiati ucraini che scappano dalla guerra. Ricordiamo che si tratta in prevalenza di donne e bambini. «Non è attualmente possibile prevedere se ci sarà un importante afflusso presso i servizi pubblici di collocamento », aggiunge Claudia Sassi, Capo della Sezione del lavoro del Dipartimento delle finanze e dell’economia da cui dipendono gli Urc, gli Uffici regionali di collocamento presso i quali – ipoteticamente – potrebbero rivolgersi le persone alla ricerca di un impiego. «Lo statuto ‘S’ è un permesso di protezione che permette anche di lavorare. Pur non avendo diritto alle indennità di disoccupazione, le persone collocabili potranno quindi annunciarsi presso i nostri uffici», afferma Claudia Sassi.

La priorità per queste persone – aggiungiamo noi – nell’immediato è quello di trovare un luogo sicuro per sé e la propria famiglia. Il tema del lavoro dovrebbe essere un tema in un secondo momento.

Tra i criteri per la collocabilità sul mercato del lavoro – oltre alle competenze professionali che nel caso degli ucraini non sembrano mancare (ci sono tecnici, infermieri, medici, informatici, ndr) – vi è quello della conoscenza della lingua necessaria per inserirsi nel proprio settore professionale. «Potremmo in questo caso trovarci di fronte a persone preparate, con buona formazione e buone conoscenze d’inglese e tedesco e che teoricamente potrebbero trovare anche autonomamente delle opportunità di lavoro, senza quindi l’intervento del servizio pubblico di collocamento» aggiunge Claudia Sassi.

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