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Il Paese che non guardiamo (e quello che non vogliamo guardare)

Brindiamo per un 2022 pieno di salute e ricco d’informazione di qualità. Un’informazione che ci renderà liberi, per davvero

‘Il giornalismo dice cose che qualcuno non vuole che tu dica: tutto il resto sono pubbliche relazioni’.
(Depositphotos)
31 dicembre 2021
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Una pandemia che non demorde nonostante l’avvio della campagna vaccinale, e un governo cantonale che spinge tale campagna ma ha all’interno due consiglieri di Stato restii a farsi vaccinare (uno dei due poi il vaccino l’ha fatto, l’altro è rimasto silente). Un Municipio che demolisce un centro sociale in una notte di primavera, e un’intera città che qualche mese dopo si ritrova a piangere l’inattesa dipartita del suo sindaco. Una legge sul salario minimo entrata in vigore qualche settimana fa per “contrastare la povertà in Ticino” (Tribunale federale dixit), e un gruppo di aziende del Mendrisiotto che – con l’aiuto di un sindacato fasullo e una pseudo organizzazione padronale – mette in piedi in zona Cesarini un Contratto collettivo di lavoro per aggirarne le disposizioni.

A voler riassumere il 2021 in tre o quattro notizie, l’anno che ci stiamo per lasciare alle spalle sarebbe più o meno questo. C’è da dire che nonostante gli sforzi da parte di chi cerca di raccontare, dal lunedì alla domenica, un cantone in cui “va tutto bene”, la radiografia del Ticino che otteniamo da questo sguardo retrospettivo non è così allettante. Per carità, restiamo dei privilegiati se ci si confronta con buona parte del mondo. Ma non possiamo illuderci che qui, in ogni angolo di casa nostra, tutte le cose siano al loro posto.

Che poi, di angoli “nascosti”, il Ticino sembra davvero averne tanti. Ciò mi fa venire in mente una trasmissione della tv pubblica della mia infanzia: “Il Paese che non guardiamo”, una serie di micro documentari che raccontavano luoghi e personaggi singolari, un po’ remoti, un po’ dimenticati dal grande schermo. È anche questa, infatti, una delle mansioni principali di una testata regionale: andare alla scoperta – giornalisticamente parlando – del territorio e dei suoi protagonisti, dare loro una voce, uno spazio.

Forse però, per un caso come quello ticinese, sarebbe più opportuno parlare del “Paese che non guardiamo” e di quello che “non vogliamo guardare”. E qui s’inserisce, a mio avviso, un altro compito importante per un mezzo d’informazione come laRegione: un giornale che nel panorama mediatico ticinese cerca di conservare uno sguardo critico sulla realtà, che prova a raccontare le cose come stanno. Una redazione che indaga, che approfondisce, che descrive, che spiega e che esprime la propria opinione quando ritiene che ciò vada fatto.

“Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda”, dicono abbia detto Horacio Verbitsky, giornalista argentino di lungo corso. In verità prima di lui c’era stato un certo George Orwell ad affermare che “il giornalismo dice cose che qualcuno non vuole che tu dica: tutto il resto sono pubbliche relazioni”. Queste massime del mestiere proviamo a farle nostre ogni giorno, nella speranza che lo sforzo profuso per rendere il nostro lavoro degno del suo nome sia riconosciuto e apprezzato dai lettori. Speriamo inoltre che questo valga anche per chi non la pensa come noi su certi temi, ma gradisce il confronto aperto e democratico. E che tutti quanti sappiano perdonare gli errori che inevitabilmente ci capita di commettere.

In fondo il nostro auspicio per il nuovo anno è stato ben formulato dietro alla prima pagina natalizia dei ‘Beatles’ di via Ghiringhelli: auguriamo a tutti un 2022 pieno di salute e ricco d’informazione di qualità. Un’informazione che ci renderà liberi, per davvero.

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