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La variante Omicron e il nostro egoismo autolesionista

Le nuove mutazioni dipendono anche dal fatto che il virus continua a circolare liberamente nei Paesi dove non si ha accesso al vaccino

(Keystone)
30 novembre 2021
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Immersi nelle nuove preoccupazioni, e nelle puntuali contraddizioni, sulla pericolosità di Omicron (ennesima variazione di Covid-19) facciamo fatica a coglierne un aspetto sostanziale e per niente nuovo di questa situazione. Per cominciare, la natura ha le sue regole e non c’è virus che non proceda per mutazioni. Che nella maggior parte dei casi sono tanto numerose quanto ininfluenti. Più raramente, ne accrescono la rapidità di diffusione e la carica infettiva. Questo dicono gli esperti. Che, nonostante il grande allarme rilanciato ieri dall’Organizzazione mondiale della sanità, esitano sulle caratteristiche di quest’altra trasformazione del Corona, quindi anche sull’ipotesi (comunque giudicata improbabile) che possa bucare agevolmente lo scudo della doppia vaccinazione.

Ma qual è, appunto, l’aspetto che dovrebbe farci riflettere maggiormente e che invece viene tenuto sottotraccia? È quello dell’apartheid vaccinale e della miopia occidentale. Il Sudafrica, nonostante un sistema sanitario migliore rispetto al resto del continente, ha avuto il più alto numero di contagiati (quasi tre milioni di ‘positivi’) e di vittime da Covid (89’770 decessi) in quella parte di mondo. Su una popolazione di 60 milioni di abitanti, soltanto il 25% dei vaccinabili ha avuto la doppia dose. Complici anche fattori e credenze locali difficili da superare. Ma, soprattutto, è successo che nel momento di massimo e lodevole sforzo della sua campagna vaccinale (Pretoria aveva ordinato un milione e mezzo di dosi, pagandole ben due volte e mezzo in più dei Paesi europei) tutto si è bloccato. Le importazioni di AstraZeneca, prodotto su licenza in India, sono state bloccate da New Delhi per poter soddisfare i propri bisogni interni. Per la stessa ragione è finito in panne anche il programma Covax, sotto l’egida dell’Oms, ideato per rifornire i Paesi a basso reddito, altrimenti nell’impossibilità di procedere a massicci acquisti. Tutto questo (era l’inizio della scorsa estate) mentre Europa e Stati Uniti si erano già garantiti da Pfizer e Moderna dosi da due a tre volte superiori rispetto alle loro necessità.

E che ne è delle solenni assicurazioni dei Paesi ricchi di correre in soccorso dei Paesi poveri con cospicui doni di vaccino? Che ne è stato di tanta generosità distribuita a parole sui tappeti rossi dei vari e affollati vertici dei leader mondiali? Perlopiù sono rimaste solo le promesse. L’America e l’Ue (che insieme si sono accaparrate oltre il 70% dei vaccini) hanno fornito rispettivamente soltanto il 25% e il 19% di quanto avevano garantito. E se non bastasse, nelle nazioni benestanti a fine anno vi saranno 1,2 miliardi di dosi inutilizzate, di cui 50 milioni saranno da gettare (è la stima di “Airfinity”, società di analisi londinese). In Africa soltanto cinque Paesi su 54 riescono a soddisfare i piani dell’Oms per immunizzare il 40% della popolazione, ultimo in classifica il Burundi con lo 0,0025% di dosi.

Ecco il desolante risultato (certo non per i profitti miliardari della farmaceutica) di non sospendere almeno provvisoriamente la proprietà dei brevetti (eventualità prevista dagli statuti Oms in caso di pandemia), come chiesto proprio da India e Sudafrica oltre che da numerose altre nazioni e organizzazioni internazionali. Ed ecco i frutti del nostro autolesionistico egoismo: meno vaccini al cosiddetto Terzo Mondo significano maggiori pericoli di nuove varianti e più minacce per tutti noi. Perché, come è stato scritto, il virus non rispetta i confini. È un ‘instancabile globe trotter’.

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