L’ospite

Venti gelidi da Est

4 agosto 2021
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No all’Europa dei tecnocrati, sì al ritorno allo Stato nazionale: un recente documento sottoscritto dai principali esponenti della destra continentale ribadisce la netta contrarietà al disegno di un’Unione europea sempre più integrata, dalla moneta unica ai diritti civili. Sarebbe all’opera, secondo queste forze, una sistematica omologazione dei valori e delle pratiche in un’ottica “laicista”, dunque nemica della tradizione cristiana dell’Europa. Il fine ultimo consisterebbe in un generale esproprio del principio di sovranità, a beneficio di un’élite globale, indifferente alle sorti del popolo, ai suoi sacrifici e alle sue aspirazioni. Ai princìpi ereditati dalla Rivoluzione francese (libertà, uguaglianza, fratellanza) si contrappone la triade della conservazione: Dio, patria, famiglia. In sostanza la destra europea propone il recupero di un ordinamento pre-liberale, un’idea di società fondata sulle gilde di matrice medievale e sulle corporazioni; un organismo privo di conflitti, giacché ogni vertenza verrebbe risolta da appositi uffici di conciliazione, senza interventi di sindacati o di associazioni padronali.

Concezioni del genere, di stampo aristocratico-realista, hanno sempre esercitato un certo fascino sull’elettorato. Gli ideali dell’Illuminismo francese e inglese non hanno mai avuto vita facile, a destra come a sinistra. Ma ora la resistenza maggiore proviene da paesi ex comunisti, con alla testa l’Ungheria e la Polonia. In parte questa reazione è comprensibile: sottomessi, perseguitati, repressi, privati della libertà religiosa, questi popoli anelano innanzitutto a riappropriarsi della loro cultura e delle loro usanze, per decenni derise e conculcate dall’ateismo comunista. Meno comprensibile è invece il rigetto del retaggio giuridico occidentale, che dovrebbe valere come patrimonio comune.

Torniamo alla triade prima ricordata, ai tre princìpi del 1789. Il primo, la “liberté”, ha alimentato il pensiero liberale; il secondo, l’“égalité”, ha nutrito le speranze del movimento socialista, e il terzo, la “fraternité”, ha ravvivato lo spirito solidale della Chiesa. Da queste fonti sono scaturite le tre maggiori culture politiche che hanno innervato l’Occidente, ossia il liberalismo, il socialismo e il popolarismo cristiano: correnti che dopo la Seconda guerra mondiale hanno unito le forze nel progetto di costruzione della Comunità economica europea. Questo a grandi linee. Nel loro farsi carne viva nel processo storico gli “immortali princìpi” hanno però assunto significati diversi, spesso divergenti. Così la libertà è stata interpretata dagli uni, dai liberisti, come licenza (senza limiti); dagli altri, dai social-liberali e radicali, come responsabilità verso l’altro. Il cammino dell’uguaglianza è stato ancora più accidentato e contrastato: per alcuni bastava l’uguaglianza davanti alla legge, per altri occorreva conseguire un’uguaglianza meno formale, che investiva anche la sfera socio-economica. Più impalpabile è stata considerata la fratellanza, traducibile in termini moderni come solidarietà: ideale etico encomiabile ma spesso e volentieri disatteso, oppure utilizzato per eludere il fisco attraverso l’espediente della filantropia e dell’iniziativa caritatevole.

L’esperienza storica insegna che, pur essendo alla base delle istituzioni della democrazia moderna, questi tre elementi faticano a convivere. Le tensioni tra la libertà e l’uguaglianza sono per esempio all’ordine del giorno. Eppure tale corredo di princìpi non cessa di accompagnarci e di indicarci la via. Dove invece si è ritenuto di cancellarlo o di imbrigliarlo è calata la sventura, ovvero l’arbitrio e i poteri sciolti da ogni vincolo e controllo. Bene ha fatto dunque la Commissione europea, per bocca della presidente Ursula von der Leyen, a ricordare ai filo-autocrati sovranisti – dell’Est ma anche dell’Ovest ­­­­– che la piattaforma giuridica su cui si regge la casa comune, specie nell’ambito dei diritti civili, non è eludibile. Liberi di non condividerla. Ma allora dovrebbero trarne le logiche conseguenze, ossia apprestarsi a lasciare la compagnia dell’Unione.

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