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A proposito di Bob Marley, quarant'anni dopo

L'11 maggio del 1981, la prima superstar degli 'ultimi' moriva in un ospedale di Miami a soli 36 anni, dopo una vita combattuta a colpi di pace e di musica

Robert Nesta Marley, 1945-1981 (Keystone)

L'11 maggio del 1981, la prima superstar degli 'ultimi' moriva in un ospedale di Miami a soli 36 anni, dopo una vita combattuta a colpi di pace e di musica

11 maggio 2021
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“Se gli dicevi che eri di Trenchtown, per te era finita”, raccontava prima di morire parlando dell’adolescenza nei sobborghi di Kingston, capitale della Giamaica. Trenchtown dall’immigrante irlandese James Trench, che su quelle terre ci faceva pascolare il bestiame. Un tempo area residenziale con baraccopoli abusiva a fianco, in meno di trent’anni, a partire dagli anni Trenta, Trenchtown sarebbe diventata il posto più pericoloso di tutto il Paese. Pericoloso come i ghetti di ogni città del mondo. È in quel quartiere che si trasferisce 12enne, orfano di padre. E quando, diventato Bob Marley, dirà: “Se gli dicevi che eri di Trenchtown, per te era finita”, si riferirà alla polizia e a nessun altro. Sebbene qui, come in ogni altro slum della capitale, sia forte il sentimento di rivolta dei giovani neri lasciati ai margini di tutto, la futura medaglia della pace delle Nazioni Unite, forse perché di padre bianco, porta con sé un innato senso dell’uguaglianza e del rispetto: “Mi chiamano mezzosangue o qualcosa del genere. Ma io non sto dalla parte di nessuno. Non sto né dalla parte nera, né da quella dell’uomo bianco. Io sono dalla parte di Dio”, dirà un giorno. E su quel senso di uguaglianza e di libertà crescerà la sua figura di leader musicale e politico.

Gigante alto un metro e 63 centimetri, re della canzone di protesta costruita su concetti di pace, Bob Marley moriva l’11 maggio di quarant’anni fa. Qualunque sia la ricorrenza, che si tratti del decennio da aggiornare, del concerto indimenticabile o della ristampa deluxe, la commemorazione è sempre valida per ricordare la prima superstar degli ‘ultimi’. Marley ha lasciato alcune ‘Blowin’ In The Wind’ del reggae, cambiando ritmicamente, per sempre, il corso del pop. Marley ha anche lasciato una piccola lezione di strenua neutralità che sta in un’ora di documentario Netflix intitolato ‘Who Shot The Sheriff?’, durante il quale il regista Kief Davidson riassume una vicenda che, fosse finita diversamente, ci avrebbe costretti a commemorare Bob Marley qualche anno prima del 1981.

 

'In Giamaica ti amano tutti, ma poi finiscono per ucciderti. Ti amano così tanto da ammazzarti'

Nel 1976, un anno dopo ‘No Woman, No Cry’, l’artista è nel pieno della popolarità e, contemporaneamente, un uomo impegnato politicamente. Impegnato a mantenersi neutrale: a Kingston vive al 56 di Hope Road, nomen omen (hope, ‘speranza’), nella stessa via del primo ministro; a chi gli contesta la collocazione topografica, lui risponde “Sto elevando il ghetto”. Quando decide di regalare al suo popolo un concerto di Natale completamente gratuito, nel tentativo di riportare unità nel Paese, la guerra tra poveri alimentata dalla politica – Trenchtown da una parte, roccaforte del People’s National Party (Pnp) del bianco Michael Manley, e dall’altra il quartiere di Rema del Jamaica Labour Party (Jlp) dell’altrettanto bianco Edward Seaga – trova in lui l’ago della bilancia: il Jlp vede nel concerto della pura propaganda pro Pnp, ma c’è chi accusa il Pnp di essersi appropriato dell’evento, oliato meccanismo della politica di ogni epoca. “In Giamaica ti amano tutti, ma poi finiscono per ucciderti. Ti amano così tanto da ammazzarti”, dice Marley ai suoi collaboratori parlando delle prime pressioni ricevute da un terzetto d’inviati da non si sa chi, affinché il concerto non si tenga. Al terzetto fa seguito la pioggia di proiettili della notte del 3 dicembre, a due giorni dal concerto: una banda armata colpisce la moglie Rita, che sopravvivrà, e così pure il suo produttore Don Taylor, involontario e salvifico (un po’ meno per se stesso, ferito in modo più grave) scudo tra la morte e Marley, un foro nel braccio e poco altro.

‘Marley Shot!’

The Jamaica Daily News titola ‘Marley Shot!’. Nei giorni che seguiranno, la responsabilità verrà data indifferentemente ai debiti di gioco dell’amico non coperti dall’artista, alla droga, all’opposizione. Non fosse che le guardie del Pnp, onnipresenti nella loro funzione di scorta armata, la sera dell’attentato erano sparite per poi riapparire a sparatoria avvenuta. E a un certo punto, come in ogni racconto di sommosse popolari che si rispettino, come per ogni pacifista d’intralcio, spunta l’agenzia dalle tre letterine magiche che ha sempre un posto nella storia della musica (Miles Jr. Copeland, padre del batterista dei Police, rovesciava governi per conto della Cia. È in ‘Broken Music’, la biografia di Sting).

'So che posso fare del bene alle persone. È l’unica considerazione che ho riguardo a me stesso'

“Non è un concerto politico, è solo fare un po’ di musica”: il 5 dicembre del 1976, l’annunciato Smile Jamaica Concert si tiene comunque, previe rassicurazioni della polizia locale, davanti a 90mila giamaicani. Ma sarà un concerto d’addio: i fatti del 3 dicembre finiranno in ‘Ambush In The Night’, sull’album ‘Exodus’, registrato a Londra dove, la mattina dopo il live, l’artista si era rifugiato, un attimo prima che la Giamaica finisse nel caos. Marley tornerà a Kingston un anno dopo, quando emissari dei due schieramenti politici, uniti da una flebile tregua, voleranno a Londra per chiedergli di tornare a unificare il Paese. E il giorno in cui Marley rimetterà piede a Kingston per il suo ‘One Love Concert’, la notizia del terremoto finirà nella parte bassa di una prima pagina che strilla: “Bob Marley is back”. Alle 2 del mattino, un nuovo Marley, arricchito dall’esperienza europea, salirà sul palco e prima della fine del concerto farà stringere la mano a Manley e Seaga. E la musica vincerà sulla guerra. Per qualche giorno soltanto (su Netflix il resto).

Per sommi capi

Il mito di Bob Marley nasce da una chitarra fatta in casa, dagli ascolti di R&B, dalle suonate con l’amico Bunny, quelle col cantante locale Joe Higgs; l’incontro con Peter Tosh conduce alla formazione dei The Juveniles, poi The Wailing Rudeboys, poi The Wailing Wailers e infine The Wailers, prodotti da Coxsone Dodd cui Marley senza soldi e senza casa deve il sostentamento; ma Dodd impone un repertorio di love song e la band se ne va. Il primo album senza di lui, ‘Catch A Fire’ (1973) è un primo successo; il secondo, ‘Burnin’’ (1974) contiene ‘Get Up, Stand Up’ e soprattutto ‘I Shot The Sheriff’, cui fa da volano Eric Clapton incidendone una cover. Il successo porta allo scioglimento dei Wailers, ma anche da solista, il suffisso di Bob Marley resterà & the Wailers.

‘No Woman, No Cry’ (1975) è la consacrazione, poi il già citato e britannico ‘Exodus’ (con dentro ‘One Love’ e ‘Jammin’’); e poi ‘Kaya’ (1978), trainato da ‘Is This Love’, e nel 1979 il più politico ‘Survival’ (con dentro ‘Africa Unite’ e ‘Zimbabwe’, inno dei ribelli nella Rhodesia), registrato in Giamaica, primo di una trilogia da chiudersi con ‘Confrontation’ (pubblicato postumo nel 1983), e in mezzo ‘Uprising’ (1980), l’ultimo atto. Ma prima che la malattia lo costringa a tagliarsi i dreadlocks, l’acconciatura del rastafarianesimo sposato all’età di 17 anni, quel disco darà il titolo all’omonimo tour transitato anche da Zurigo, un mese prima dello storico concerto di Milano.

KeystoneParigi, 3 luglio 1980

Uno, San Siro, centomila

Prima di “Marlena torna a casa” dei Maneskin ci fu un “Cinzia torna a casa” di Antonello Venditti. Cinzia che “cantava le sue canzoni” – quelle di Marley – e Piero che “suonava solo la musica reggae”; Piero e Cinzia a Milano che “quel giorno era la Jamaica”, e quel giorno era il 27 giugno 1980 e Milano era lo Stadio di San Siro. Il 31 dicembre 2020, Venditti postava una foto all’Olimpico di Roma con l’amico De Gregori, che Piero commentava facendoci scoprire che il protagonista maschile di ‘Piero e Cinzia’ – traccia 7 da ‘Cuore’ (1984), l’ispirato disco di ‘Notte prima degli esami’ – vive in Brasile da trent’anni; di Cinzia “e il suo veleno”, nello scambio di messaggi non si parla, forse perché la storia vuole che Cinzia abbia mollato in tronco Piero la notte di San Siro e Venditti abbia dato uno strappo a Piero fino a Roma. Da cui il “Cinzia torna a casa”.

Milano, 27 giugno 1980, è sempre stato Bob Marley in Italia più che il giorno dopo al Comunale di Torino. Ad aprire entrambi i concerti, il bluesman Roberto Ciotti e un 25enne Pino Daniele fresco di ‘Nero a metà’; due italiani prima degli scozzesi della Average White Band, fischiati a Torino come spesso accade agli opener. Chi c’era, dice che anche a San Siro, degli opener, frega poco, in una generale indifferenza durata sino alle 22 circa, quando sui tempi in levare dei The Wailers, le I-Threes – Rita Marley, Judy Mowatt e Marcia Griffiths – aprono le danze; dopo quattro brani, Bob Marley emette la prima nota del suo ‘Marley Chant’; l’ultima è su ‘Lively Up Yourself’, atto finale di un bis con dentro uno dei molti inviti ad alzarsi e a combattere intitolato ‘Get Up, Stand Up’, inno che avrebbe chiuso – a Torino, nello stesso stadio, l’8 settembre del 1988 – la tappa italiana dello Human Rights Now! Tour di Amnesty International.

Quella del 27 giugno 1980 non fu una notte qualunque. Fu la notte di Bob Marley a Milano, morto un anno dopo a 36 anni per un melanoma partito dall’alluce del piede destro e finito ovunque; fu la notte di Piero e Cinzia, che “quando gli idranti spararono sul cielo qualcuno disse ‘Guarda verso il palco, c’è l’arcobaleno’”; fu la “notte da centomila fiammelle” in cui, poco prima che Marley cantasse di pace, libertà, amore, un missile colpiva il volo di linea IH870 partito da Bologna e diretto a Palermo, finito nel Tirreno tra Ponza e Ustica in un silenzio di Stato, di Stati, che dura ancora oggi, lasciandoci con niente in mano se non un pugno di canzoni. Canzoni di libertà: “È tutto quello che ho”, cantava Marley in ‘Redemption Song’, un anno prima dell’11 maggio 1981, quando al Cedar of Lebanon Hospital di Miami la sua vita si spegneva in terra, lasciando accesa la musica.