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Goodbye, Salk e Sabin: passato e presente dei vaccini

Dal nobile rifiuto di brevettare il siero antipolio alle ‘guerre’ commerciali e diplomatiche di oggi. Uno spettacolo poco edificante

(Keystone)
3 febbraio 2021
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D’accordo, saranno stati altri tempi, ma anche allora il profitto era il profitto, come la corsa all’oro, le speculazioni di ogni tipo, i facili guadagni in Borsa, insomma tutta quell’insana panoplia di appetiti eccessivi che spingevano il capitalismo anche all’autolesionismo, sfociato nella Grande Depressione. Eppure, di fronte all’attuale ‘guerra’ per il vaccino anti-Covid (“cessate il fuoco” invoca ‘Le Monde’), vien voglia di pensare a due nobili figure del passato, Jonas Edward Salk e Albert Bruce Sabin, inventori (in diverse fasi della prima metà del secolo scorso) del vaccino contro la poliomielite, che faceva strage soprattutto fra i bambini: entrambi si rifiutarono di rivendicarne il brevetto, rinunciando a enormi guadagni personali. Alla domanda di un giornalista su chi fosse il proprietario del suo vaccino, Salk risposte: “Beh, la gente, direi: non esiste un brevetto, puoi forse brevettare il sole?”. Al secondo, Sabin, da ragazzo fuggito con la famiglia dai pogrom e dal Terzo Reich negli Stati Uniti, venne chiesto se sentisse la sua scoperta anche come una ‘vendetta’ nei confronti degli assassini nazisti che gli avevano ucciso due nipotine, e lui replicò: “Ho contribuito a salvare migliaia di bambini nel mondo, non è forse la miglior vendetta?”. Del resto fu grazie a un consorzio di oltre cento nazioni che, sotto l’egida della tanto criticata Oms, vennero poi finanziati, scoperti e commercializzati a prezzi accessibili per tutti i Paesi i vaccini anti-influenzali. Oggi assistiamo a ben altro spettacolo.

Certo, la scienza ha fatto il ‘miracolo’ di sieri anti-Corona prodotti in tempi incredibilmente rapidi. Grande e sincera ammirazione. Sembrava che il mondo potesse almeno in parte riconciliarsi con un ‘Big Pharma’ spesso criticato per la sua voracità di guadagni, sempre attraverso il ferreo monopolio dei brevetti (poche le ribellioni riuscite). Ricerche costose, ma grandi affari garantiti; a volte medicinali costosissimi, per gravi malattie troppo rare (quindi poco remunerative), con istituti assicurativi che rifiutano il rimborso e affannose gare di solidarietà private; oppure, il disinteresse (o la sottovalutazione commerciale) per farmaci giudicati di scarsissimo valore aggiunto, ed è successo anche per il siero anti-Covid. Come spiega Christoph Meier, dell’Università di Basilea e capo-farmacista dell’Ospedale universitario della città renana, “se confrontiamo questi farmaci con quelli somministrati per malattie croniche, non c’è paragone, e i conti a fine anno devono quadrare”. I conti, cioè i profitti. E lo si afferma (intervista al ‘Corriere del Ticino’) nella città svizzera simbolo della grande industria farmaceutica, che paradossalmente impone poi alla Confederazione prezzi assai più alti che nelle altre nazioni europee.

Ora, eccoci confrontati allo spettacolo di multinazionali che possono dettare tempi e prezzi a Paesi che hanno sborsato fior di miliardi di soldi pubblici per finanziare la ricerca anti-Corona, e che – sotto l’enorme pressione della crisi sanitaria – competono e sgomitano per accaparrarsi sieri provvidenziali, e qualche vantaggio geopolitico: nazionalismo vaccinale, e relative turbolenze diplomatiche, come nel caso di Unione europea e Gran Bretagna nel primo scontro della post-Brexit. Spettacolo poco edificante per quello che è stato definito “vaccino al servizio dell’intera umanità”. Invece, goodbye, Mr. Salk e Mr. Sabin.

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