Culture

Questo pazzo, pazzo mondo del vinile

Il docufilm italiano, l’associazione ginevrina che vorrebbe aprire una fabbrica, e Tondo a Maroggia. Pregi, difetti e feticismi di un supporto senza età

Nero, sta bene su tutto
14 dicembre 2020
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Nel 2004 veniva chiusa l’ultima fabbrica di vinili in Svizzera. Chi, d’altra parte, avrebbe pensato che i dischi, relegati – dal cd prima e dai file digitali poi – a imperfetti, rumorosi, ingombranti, polverosi e obsoleti oggetti di plastica e cartone si sarebbero ripresi un posto negli scaffali? Con i vinili è accaduto quel che accadde agli strumenti musicali con l’arrivo di tastiere e campionatori all’inizio degli anni Novanta, quando – per quella che guardata con gli occhi di oggi parrebbe un’isteria di massa – i magazzini dell’usato dei negozi di musica si riempirono di strumenti che fecero la storia, organi Hammond in perfetto stato e pianoforti elettrici Rhodes come nuovi, comprati a un botto di soldi, ritirati a prezzi da rigattiere e abbandonati ai danni dell’umidità, per tornare dieci anni più tardi, ricercati come l’oro in ‘Heart Of Gold’ di Neil Young, quando ci siamo stufati del suono finto per riaffamarci di quello vero. E così accadde ai sistemi di registrazione, Solid State da milioni (banchi audio per contenere i quali non bastava un garage intero) scaricati nelle cantine dei robivecchi perché mastodontici, costosi, inutili, se per registrare un disco basta un hard disk. Anche tutta questa splendida ferraglia analogica – da ‘analogo’, per vicinanza del suono a quello reale – alla fine è tornata attraente, tanto che i registratori a nastro, da ‘vecchiume’, sono ritornati ‘tendenza’. Li chiamano ‘corsi e ricorsi storici’, ma potrebbero chiamarsi anche ‘sviste’. Non solo mode, perché la tecnologia è novità, sperimentazione, futuro. E al futuro non si dice mai di no.

Prodotto local

Tornando all’inizio, tornando ai cd che tra un paio d’anni andranno in pensione. Torneranno? Meglio tenerseli, visto che abbiamo venduto i vinili per poi ricomprarceli. Tornando all’inizio, tornando al disco in vinile. Un gruppo di amici legati in un modo o in un altro al settore musicale e appassionati di vinili, si sono fatti carico di dare a diversi attori locali l’opportunità di stampare i propri dischi vicino casa, esperienza local a oggi impossibile vista l’assenza di laboratori di pressatura di dischi in vinile svizzeri proprio in un momento nel quale GfK Entertainment – società che in trenta Paesi del mondo fornisce ricerche di mercato nel settore dell’intrattenimento – comunica che l’aumento delle vendite dei vinili è stato niente di meno che del 300% tra il 2014 e il 2019. Stando a dati Fimi (Federazione Industria Musica Italiana), la percentuale di crescita totale sarebbe del 330% a partire dal 2012, per una fetta di mercato del 6% di quello totale. Il suddetto gruppo di amici va sotto il nome di Doca Vynil, associazione ginevrina senza scopo di lucro il cui obiettivo finale sarebbe quello di accendere le macchine della prima fabbrica elvetica dopo sedici anni, superando tra l’altro una delle difficoltà di amatori e professionisti del settore, ovvero il doversi fare carico di spese ingenti per una quantità minima di esemplari troppo elevata per le necessità di vendita di artisti indipendenti. Con l’augurio di uscire dalla pandemia con buona musica e “good vibes” di Beach Boys memoria, e prima di mettersi a fare i conti (servono 190mila franchi), quelli di Doca Vynil tastano il polso con un sondaggio, libero e anonimo, aperto su www.fr.surveymonkey.con/r/JS62DTY.


Su www.mescalitolive.com

Romanticismo

Cosa sta dietro e cosa e quanto muove il ritorno del vinile – il “ritorno al futuro”, come lo chiamano quelli di Doca Vynil – sta dentro un piacevolissimo documentario intitolato ‘Vinilici – Perché il vinile ama la musica’, datato fine 2018 e accessibile al grande pubblico dallo scorso 3 dicembre grazie ad Amazon Prime, che per gli equilibri mondiali legati alla proposta culturale dei colossi dell’intrattenimento, vai a sapere perché, dalla Svizzera non si può vedere come invece accade per ‘Borat’. Il problema è risolvibile acquistando il film con soli euro 3,50 su www.mescalitolive.com e ricevendo in cambio 65 minuti di documentario ben spesi.

Realizzato tramite crowdfunding dalla Napoli Film Commission, da un’idea di Nicola Iuppariello, scritto con Vincenzo Russo e diretto da Fulvio Iannucci, ‘Vinilici’ è un viaggio alle radici del suono che porta alla sensualità tattile, aperto dalle parole lapidarie di Red Ronnie: “Oggi non ascoltiamo, sentiamo”, con riferimento alla musica che esce dagli altoparlanti del supermercato. “Non siamo più abituati ad ascoltare ciò che non conosciamo. Ci hanno tolto la curiosità”, dice il Barone rosso. Gli fanno eco feticisti del vinile come Renzo Arbore, il dj Claudio Coccoluto (“Sono il mio mezzo d’espressione. È come chiedere a un musicista perché ha scelto la chitarra oppure il pianoforte”) e – tra i molti – anche gli Elio e le Storie Tese portatori di un bisogno di ritualità, quella dello “spostarsi nei pressi del giradischi e girare il disco”, che è “un buon ritorno alla fruizione della musica non tanto come sottofondo mentre faccio le pulizie ma come ‘Adesso mi ascolto un disco’”. E a quello che pare, dopo anni di velocità (Elio), un “prendersi il proprio tempo per ascoltare bene” e (Faso) “ascoltare le canzoni nell’ordine in cui l’artista voleva proporle”.

Il film di Iannucci, che quasi si potrebbe catalogare nel filone ‘romantico’, prende il via da Napoli, dalla Società Fonografica Napoletana nata nel 1901 e divenuta presto Phonotype Record, prima fabbrica a 78 giri d’Italia, tra le prime case discografiche al mondo dotate di stabilimento autonomo per la fabbricazione di dischi, qui rappresentata dall’ottuagenario Fernando Esposito. Partendo dagli albori, il docufilm tocca tutti gli aspetti legati al vinile: dell’ampiezza di suono non paragonabile al ditigale parla Giulio Cesare Ricci, il sound engineer che registrò in analogico Salvatore Accardo con la collezione dei violini di Cremona; ma si parla anche delle applicazioni in studio di registrazione, dove il moderno taglia-copia-incolla è un attimo, e invece ai tempi del nastro servivano forbici e colla. Lo ricorda Massimo De Vita, titolare del progetto Blindur: “Ci hanno raccontato che George Martin impazzì non poco a fare l’editing di ‘Strawberry Fields Forever’”, dice nel docufilm. Ma si potrebbe anche citare l’assolo di sax di Phil Woods in ‘Just The Way You Are’ di Billy Joel, risultato di un copia-incolla di più solos originali su nastro portato a termine da Phil Ramone con forbici e colla, rischio per il quale il pianista di Long Island ancora non ci dorme la notte.

‘Vinilici’ è anche la storia di Elastic Rock, negozio di vinili nato nel dopoguerra sui banchi di Porta Portese e trasferito da nonno Burini alla nipote Simona, che come amico e cliente ha Carlo Verdone, feticista moderato che del vinile elogia il rapporto acquirente-negoziante (“Conosce i tuoi gusti, ti avvisa delle novità”). E poi ci sono i feticisti puri, i collezionisti delle prime stampe, dei bootleg (incisioni pirata su vinile che in alcuni casi hanno fatto il successo di artisti e band), e quelli che i dischi li collezionano per le copertine, storia dell’evoluzione grafica, sociale, artistica del nostro tempo.


Sandro Bassanini, aka Tondo (facebook official)

A Maroggia

Tondo: 'Una nicchia, ma che nicchia...’

Insomma. In ‘Vinilici’ c’è una chiave di lettura del boom del vinile, oltre a un vademecum di come salvarsi l’anima. A proposito di prime stampe. Uno che colleziona solo prime stampe, e non di meno le vende, si chiama Sandro Bassanini ed è il titolare di Tondo Music a Maroggia. Del 17enne che attraversò l’Oceano Atlantico per diventare, da adulto, direttore generale di alcuni colossi dell’alimentazione degli Stati Uniti avevamo parlato qualche anno fa (cfr. laRegione del 16.5.2017), e anche del suo mollare il posto fisso per aprire un negozio di vinili in riva al Ceresio, gesto quanto meno rivoluzionario. Tondo Music è un indie record shop, dove indie sta per ‘independent’, ovvero il non essere una catena, bensì proprietario indipendente. Bassanini, la musica, la sceglie lui, nessuno gli impone etichette ed è l’unico rimasto in Ticino. Si chiede a Tondo, che ormai l’uomo è anche il negozio, quando si vuol sapere come butta nel settore.

«Il vinile rimane ancora una nicchia», spiega a laRegione. «Chi oggi vende centomila copie nel mondo con un disco è una mosca bianca. Per intenderci, centomila copie le faceva Iva Zanicchi solo a Milano. Centomila copie fanno fatica a venderle negli Stati Uniti, con 380 milioni di persone a disposizione». Premesso questo, il boom di vendite del disco in vinile non è stato puro idillio: «Sono felice che le cose siano cambiate, perché con la sua rinascita si stavano ripetendo gli stessi errori che l’avevano portato alla morte. Si pensa che il vinile sia morto unicamente a causa dell’avvento del cd, ma era in progressione funebre da almeno dieci anni: i giradischi erano diventati porcherie con i bracci fissi, le puntine ellittiche, i solchi bassissimi. Le registrazioni stavano già diventando digitali, e un master digitale stampato in analogico non aveva alcun senso. E così è accaduto con il boom recente». E a quanto pare, la gente se n’è accorta, anche i più giovani: «Tanti ragazzi ora stanno investendo nel loro impianto hi-fi. Perché puoi comperare tutti i vinili che vuoi, ma se li fai suonare su un apparecchio da 100 franchi, tanto vale ascoltarti l’mp3 di Spotify».

Benedetta quarantena

Cinquantenni a parte, ultimamente risarciti dei danni subiti per l'infima qualità delle cuffiette dell’iPhone, il fatto che un teenager si doti di impianti di buon livello confuta l’idea corrente che il boom del vinile si debba al solo fatto che agli occhi del giovane, dischi e giradischi siano una tecnologia nuova. Nuova se paragonata al mondo digitale nel quale questi è cresciuto. Con premessa che «si tratta di un’opinione personale», also sprach Tondo: «Innanzitutto c’è la morte della televisione. Telefonini e iPad l’hanno rimpiazzata, compiendo l’atto conclusivo del processo che ha visto il giradischi essere rimpiazzato dalla televisione e la televisione dall’home cinema. E ancor di più con la pandemia, si sta reinserendo nel salotto il giradischi, anche come oggetto d’arredamento. La pandemia ci priva delle vacanze, dei ristoranti, e ci lascia il cash per due dischi che avrai per il resto della tua vita». E in era di ‘remoto’ e ‘cloud’, colpisce come – per dirla con Faso – qualcuno abbia la voglia di alzarsi dal divano a girare il lato A per ascoltare quello B, un’azione che presuppone l’aver sviluppato una diversa relazione con il concetto di tempo. «Ne abbiamo tanto in mano, di tempo, in questi giorni. Quale migliore occasione…».

Tornando alla qualità. «Tutte le case discografiche – continua il Tondo – hanno ritirato i propri master dal mercato, non danno la possibilità di ristamparli a nessuno se non a sé stessi, e questo mi dà tanta tranquillità. Niente più tarocchi in giro, e quindi migliore stampa, miglior giradischi, migliori casse, miglior amplificatore e puoi finalmente sentire un po’ di musica come si deve. Perché se tu, casa discografica, vuoi giustificare a un consumatore la spesa di 30-35 franchi per comperarsi un disco, allora devi garantire che si tratterà di un’esperienza, di passare in un’altra dimensione». E l’esperienza in un’altra dimensione necessita di tempo: «Ironia della sorte, le case discografiche restano indietro. Ho sentito dire da uno dei numi dell’industria discografica che tutto lo farebbe ancora il one hit wonder, il singolo brano che sfonda su Spotify e YouTube. E io invece ho i ragazzi che vogliono il disco. Non è la singola canzone che rappresenta il futuro del vinile, io credo, economicamente parlando».

Pirateria

Insomma. Gli Elii hanno ragione. Se qualcuno, in un disco, ha messo i brani in quella sequenza, un motivo ci deve essere: «Una canzone ti prepara all’altra», conclude Bassanini. «Ascoltavo poco fa ‘Atom Heart Mother’ dei Pink Floyd. È impressionante come quell’assolo di violoncello non potresti mai sentirlo se all’inizio non ti avessero messo dell’altro». Prima di lasciarlo ai suoi microsolchi, riportiamo a Tondo le percentuali di vendita così come arrivano da Fimi o Gfk, che poco cambia. La gente compra dischi. Alla faccia della pirateria, verrebbe da dire: «La pirateria è una conseguenza, non è più il problema. Quando fai brutta musica, quando spacci un Lp per un prodotto artistico e dentro c’è una sola canzone buona, fai un assist alla pirateria. È quello che accadeva ai tempi in cui scomparve, quei dischi pieni di riempitivi. D’altra parte, quando chiedi all’artista due o tre dischi all’anno, nemmeno puntandogli una pistola alla tempia puoi pretendere di ricevere dei capolavori».

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