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Fashion Victim

Che sia per proteggersi dal freddo, dalle intemperie o come mezzo d’espressione, vestirsi è per l’uomo un bisogno di prima necessità

© Asim Hafeez / WWF-UK
24 febbraio 2018
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Che sia per proteggersi dal freddo, dalle intemperie o come mezzo d’espressione, vestirsi è per l’uomo un bisogno di prima necessità. Un tempo l’abito era dimostrazione dello stato sociale, oggi la moda è accessibile a un vasto pubblico e le tendenze cambiano sempre più velocemente. Con lo sviluppo dell’industria tessile hanno preso piede le fibre sintetiche che hanno scalzato il dominio del cotone e della lana. Ogni anno, ben 16 chili di vestiti si aggiungono a ogni singolo guardaroba, il doppio rispetto a vent’anni fa. Siamo talmente abituati alle campagne pubblicitarie che invogliano il consumatore a comprare nuovi abiti a scadenze continuamente più ravvicinate, che l’offerta di vestiti a buon mercato in quantità quasi inesauribile ci sembra la normalità. Esiste però un costo sociale, ambientale e di salute pesante come un macigno.

Il problema

Una moda tanto veloce e a buon mercato – fino a 24 nuove collezioni in un anno! – è possibile solo grazie alla delocalizzazione in Paesi con costi di produzione più convenienti. La maggior parte dei tessili viene infatti prodotto in Asia dove i salari sono più bassi e i diritti dei lavoratori meno salvaguardati. Gli standard delle aziende tessili in questi paesi sono spesso contraddistinti da orari di lavoro estremi e lavoro minorile così come dalla mancanza di assicurazioni sociali e di un’organizzazione sindacale. La produzione di cotone nello specifico comporta un impatto negativo sia sulla salute ambientale che su quella umana. Le monoculture causano la distruzione di importanti habitat naturali e l’impoverimento del suolo. Inoltre, per produrre una sola maglietta in cotone sono necessari 2’700 litri d’acqua – una quantità spropositata considerando che spesso il cotone è coltivato in zone con scarse riserve d’acqua – e dosi spaventosamente alte di insetticidi e pesticidi. Basti solo pensare che i campi di cotone occupano solo il 2,5% della superficie coltivabile ma sono responsabili del 16% della domanda mondiale di insetticidi e del 7% di quella di pesticidi. Se a questo scenario si aggiunge una regolamentazione più blanda rispetto alle nostre latitudini, si fa presto a capire che le acque sporche vengono espulse dalle fabbriche senza criterio e vanno a inquinare la falda freatica, il cibo e l’acqua potabile.

L’alternativa biologica

Il cotone biologico è un’alternativa a minor impatto ecologico rispetto a quello convenzionale. Non solo necessita il 71% d’acqua e il 62% di energia in meno, ma non è prodotto da semi geneticamente modificati che possono provocare una trasformazione imprevedibile dell’ambiente. Inoltre, la sua natura biologica implica che non vengano utilizzati veleni o sostanze tossiche. In sostanza, il cotone biologico rispetto a quello convenzionale ha bisogno di una frazione dell’acqua, non inquina la falda freatica e non danneggia il suolo. Questi sono i principali vantaggi per la natura, ma ce ne sono diversi anche per l’uomo. Le stesse sostanze chimiche usate sul cotone convenzionale rimangono sui capi anche dopo il lavaggio e vengono a contatto con la nostra pelle. Anche da un punto di vista sociale l’alternativa biologica è superiore: il bio-cotone permette ai lavoratori una qualità di vita più alta poiché può essere venduto a un prezzo equo.

Cosa fa il WWF

Con progetti concreti, l’analisi dell’industria tessile e un lavoro di sensibilizzazione di produttori e consumatori, il WWF si impegna a ridurre l’impatto ambientale. I progetti concreti a livello locale in India e Pakistan sostengono la riduzione del consumo d’acqua e dell’utilizzo di sostanze chimiche. In collaborazione con le aziende attive in Cina e Bangladesh, il WWF partecipa al progetto Water Stewardship che mira a migliorare la gestione di importanti bacini idrici per il beneficio dell’ambiente e dell’uomo.

Il WWF Svizzera, basandosi su dati dell’agenzia di rating indipendente Oekom Research Ag, ha esaminato l’impegno ecologico di 12 aziende tessili in aspetti fondamentali tra cui la loro strategia ambientale, il cambiamento climatico, gli investimenti e la gestione delle acque e delle materie prime. Nessuna delle imprese si posiziona nella categoria più alta e per molte l’impatto ambientale non ha alcuna importanza. La pubblicazione del rating ha incoraggiato 8 aziende ad avvalersi del WWF per rendere sostenibile la loro strategia ambientale. L’efficienza ecologica per ridurre l’impatto ambientale lungo la catena di produzione di valore non è sufficiente. Le aziende tessili si devono impegnare a sostituire l’attuale modello di business lineare “produrre-vendere-smaltire” con un approccio più circolare attraverso pratiche commerciali innovative quali la riparazione e il riciclo. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito: wwf.ch.


Cosa puoi fare tu

Il consumatore ha una grande responsabilità nell’impatto ambientale e deve modificare il proprio comportamento di conseguenza. Acquistare meno vestiti è il modo più efficace. Per allungarne il ciclo di vita è importante imparare a curare e riparare gli abiti usati e condividere, scambiare e riciclare i capi di abbigliamento che rimangono inutilizzati nel guardaroba.

 

Vita da pangolino

Sconosciuto a molti, il pangolino è il mammifero più trafficato al mondo: ogni 5 minuti un esemplare viene estratto dal suo habitat naturale. Il suo nome ha origine in Malesia, dove penggulung significa “quello che si arrotola”. Se viene toccato si aggomitola in una palla e usa le squame affilate poste sulla coda per difendersi. Spesso scambiato per un rettile, il pangolino è l’unico mammifero con le squame, un’armatura usata per proteggersi dai predatori. È un animale principalmente notturno e solitario, difficile da studiare per gli scienziati.

Otto sono le specie osservate: quattro vivono in Asia e quattro in Africa. La sua alimentazione è ricca di formiche, termiti e larve, tutte raccolte con la lingua vischiosa, la cui lunghezza può superare quella del corpo.

Proprio a causa della sua dieta è conosciuto anche come ‘formichiere squamoso’. Ogni anno il terzo sabato di febbraio – la scorsa settimana – si celebra la giornata mondiale del pangolino con l’obiettivo di far conoscere questo particolare animale e soprattutto sensibilizzare il pubblico sul suo stato di pericolo. Le otto specie trovate nei due continenti figurano tutte nella Lista Rossa delle specie minacciate – due come ‘criticamente minacciate’. Si stima che negli ultimi dieci anni la popolazione asiatica di pangolini sia diminuita dell’80%, con più di un milione di pangolini sottratti dal loro ambiente naturale per coprire la domanda in Cina e Vietnam.

In questi Paesi la loro carne è considerata una delicatezza e le squame sono usate nella medicina tradizionale cinese per curare una varietà di disturbi.

Cosa fa il WWF

Attualmente il pangolino – tutte 8 le specie – è protetto da leggi nazionali e internazionali. Infatti, nel 2016 si è raggiunto un accordo internazionale tra più di 180 Paesi per vietare il traffico globale di varie specie protette, tra cui il pangolino.

Il WWF collabora con TRAFFIC per migliorare continuamente la protezione del pangolino e ridurre la domanda in Paesi come la Cina e il Vietnam attraverso campagne di sensibilizzazione.

Inoltre, tramite partenariati mirati con governi e aziende locali, il WWF si adopera per rafforzare le leggi in vigore e la loro applicazione.

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